
La Cina è un supercolosso dell’auto. Sono i numeri a dirlo: il Paese del Dragone ha superato il Giappone ed è diventato il più grande esportatore al mondo di auto, raggiungendo quota 5,9 milioni di vetture. In soli cinque anni, i marchi automobilistici cinesi sono passati dall’essere marginali ad assumere una posizione di leadership del mercato interno dei veicoli elettrificati.
Ma come è stato possibile questa crescita così repentina in pochi anni? Come riporta un articolo di Autonews i motivi del “boom” sono molteplici. Nel seguente lavoro ci focalizzeremo sulle tappe principali che hanno portato Pechino a diventare la Capitale mondiale dell’auto.
Fino al 1985, la proprietà privata di automobili in Cina era un fenomeno praticamente sconosciuto. Il cambiamento ebbe inizio grazie al Gruppo Volkswagen, che inaugurò la produzione locale proprio quell’anno. Sull’onda di questa apertura, tutte le principali case automobilistiche mondiali — General Motors, Ford, Toyota, Nissan, Hyundai — seguirono il Gruppo Volkswagen, costruendo stabilimenti in loco.
Ostacolate da dazi d’importazione del 15%, le aziende straniere furono costrette a creare joint venture con partner cinesi, che spesso erano piccole società controllate dallo Stato. Questi accordi permisero ai costruttori locali di acquisire know-how tecnologico, ma mantennero a lungo la supremazia dei marchi esteri.
Quando nei primi anni 2000 GM, Ford, Toyota, Nissan e Hyundai entrarono nel mercato cinese con joint venture, i marchi locali come Chery e Geely erano appena nati (1997) e proponevano modelli copiati dall’Occidente. Nel 2020 le compagnie automobilistiche straniere rappresentavano ancora il 62% delle vendite totali di veicoli leggeri.
In particolare, le joint venture come BMW-Brilliance (istituita nel maggio 2003), GAC-FCA (sciolta nel 2022), Shanghai-GM e Changan-Ford permisero ai marchi stranieri di radicarsi fortemente sul mercato. Tuttavia, queste collaborazioni furono in gran parte “passive” dal punto di vista dell’apprendimento locale. Per anni, la Cina migliorò le proprie capacità produttive ma senza sviluppare pienamente competenze autonome di innovazione.

Nel 2000 la svolta. Wan Gang, visionario ingegnere formatosi in Germania che per 10 anni ha lavorato in Audi, propose al governo cinese di puntare direttamente sui veicoli elettrici come strategia per saltare (leapfrogging) i tradizionali motori a combustione dove il gap tecnologico con l’Europa era impossibile da colmare.
Il Consiglio di Stato accolse la proposta:
Il sostegno pubblico permise:
Le previsioni di Wan Gang, che si è ritirato dal Ministero della Tecnologia nel 2018, si rivelarono esatte: entro il 2020, la quota di EV e PHEV raggiunse il 5,4% delle vendite complessive. Ma il vero boom arrivò dopo:
Di conseguenza, i marchi cinesi, che un tempo sopravvivevano solo vendendo auto economiche nelle province interne, hanno conquistato il 65% del mercato automobilistico nazionale.
Nel frattempo, i colossi esteri come GM, Volkswagen, e persino Tesla, molto radicata in Cina grazie alla sua Giga Shanghai, hanno visto contrarsi le loro quote.
Tra le aziende automobilistiche locali, la BYD è quella che è cresciuta di più negli ultimi anni, tanto che nel 2024 stava per togliere a Tesla lo scettro di maggior costruttore di EV al mondo.
Wang Chuanfu, fondatore di BYD, ricorda il 2019 come “l’anno più difficile” per l’azienda. Ma da metà 2020 per la Build Your Dreams tutto cambiò: le vendite hanno iniziato ad accelerare. Nel 2021 l’azienda ha venduto circa 594.000 veicoli elettrici e PHEV in tutto il mondo, con un balzo del 232%.
La compagnia, nata nel 1994, che inizialmente era focalizzata sulla produzione di batterie ricaricabili, dopo trent’anni di vita, ha festeggiato il traguardo di 10 milioni di veicoli a “nuova energia” (detti anche NEV, cioè elettrici e ibridi).
Uno dei punti di forza della BYD è la sua integrazione verticale. Oltre il 70% dei componenti dei suoi veicoli è prodotto internamente, consentendo all’azienda di ridurre i costi, aumentare i margini di profitto e mantenere un controllo completo su filiera e qualità.

La Tesla e molti marchi stranieri hanno perso terreno. Alcune aziende come Acura (marchio premium di Honda), Suzuki, Fiat e Mitsubishi, si sono ritirati dal mercato cinese. Mitsubishi ha ammesso che il passaggio all’elettrico ha cambiato le regole troppo in fretta, tanto da rendere controproducente la permanenza a Pechino.

Elon Musk, che in passato aveva deriso BYD, oggi afferma che i marchi cinesi sono “i più competitivi al mondo”.

Il successo cinese sugli EV del Dragone ha acceso nuove tensioni commerciali, sia in Europa, che negli Stati Uniti.
Ma le politiche ostruzionistiche di Europa e America non hanno fatto indietreggiare di un millimetro la Cina che, anzi, ha rilanciato. BYD e Chery hanno iniziato a delocalizzare la produzione in Europa aprendo stabilimenti in Spagna, Ungheria e Turchia.

Le joint venture, originariamente create per penetrare il mercato cinese, oggi si stanno trasformando. Mentre i marchi locali come BYD, Changan e Geely si espandono fuori dai confini, i partner stranieri si trovano a rincorrere un modello industriale che loro stessi hanno contribuito a far crescere.
Il caso della Porsche è emblematico. Nel primo trimestre del 2025, il marchio di lusso tedesco ha registrato un calo del 42% delle vendite in Cina, un’accelerazione netta rispetto alla tendenza negativa degli ultimi anni. Solo nel 2021 la Porsche raggiungeva il suo massimo storico nel Paese con quasi 96.000 unità vendute – un terzo delle vendite globali. Oggi, la situazione è capovolta.
Brand cinesi come Byd, Nio, Li Auto, Zeekr e il colosso dell’elettronica di consumo Xiaomi, hanno sottratto preziose quote di mercato ai marchi del Vecchio Continente, che non riescono più ad attecchire in Cina. Non più come una volta. Xiaomi, che ha debuttato nel settore con la berlina sportiva elettrica SU7, propone una vettura equiparabile alla Taycan a un prezzo inferiore di oltre il 60%.

La Porsche al recente Salone di Shanghai 2025, ha deciso di puntare sulla tradizione. Ha esposto due versioni speciali della 911, contornate da modelli storici. Un’insegna recitava: “There is no substitute”. Un messaggio che non sembra essere arrivato al consumatore cinese come spiega Bo Yu, country manager per la Cina della società di analisi di JATO Dynamic citato da Reuters: “Porsche non ha lo stesso valore simbolico per i giovani cinesi di quanto ne abbia in Europa o negli Stati Uniti (…). Il marchio d’élite non basta più, conta la tecnologia e l’esperienza utente.”
Del resto Audi ne è la dimostrazione: ha lanciato in Cina una nuova famiglia di elettriche sviluppate con Saic, inaugurando un sub-brand chiamato semplicemente AUDI, prive del classico logo con i quattro anelli.
I giovani clienti del mercato cinese sovvertendo le regole dell’élite dell’auto europea dimostrano che il valore del marchio nel Paese del Dragone è prossimo allo zero. Specie si confrontato all’esperienza d’uso tecnologica.

Uno studio AlixPartners rivela che:
Secondo AlixPartners, nel 2030 i marchi cinesi deterranno il 70% del mercato interno e raddoppieranno la quota in Europa (dal 6 al 12%). Tanto per dare qualche numero, Chery, che in Italia si conosce attraverso la DR, ha chiuso il 2024 con 2,6 milioni di vetture (+38%), di cui oltre 583.000 elettrificate (+233%).
Stephen Dyer (AlixPartners) avverte: “Chi non cambia mentalità perderà il mercato, come accadde agli americani con i giapponesi negli anni ’80”.
Oggi la Cina ha una posizione di netto vantaggio sui veicoli elettrici ed elettrificati:
La storia dell’industria automobilistica cinese dimostra come una visione politica lungimirante, unita a investimenti strategici e a un ecosistema industriale solido, possa trasformare in pochi decenni un paese “arretrato” in una superpotenza globale dell’auto elettrica.
Questa edizione del Salone dell’Auto di Shanghai (23 aprile-3 maggio), ha fatto il “pieno” di novità, surclassando il Salone dell’Auto di New York, sia in termini di quantità che di qualità. Tra le novità tecnologiche presentate: la stazione di ricarica ultraveloce della Huawei, la piattaforma CATL per lo battery Swap (sostituzione rapida della batteria), oltre a batterie sempre più performanti e sicure. Proprio in merito agli accumulatori, la Cina ha lanciato un nuovo standard, l’Europa ancora si nuove ancora all’interno di una normativa obsoleta.
Il Paese del Dragone ha un chiaro vantaggio tecnologico, soprattutto per quanto riguarda le batterie, i motori elettrici e i relativi sistemi di controllo. Non solo. Potendo contare su tempi di sviluppo più ridotti, su un controllo quasi totale della filiera, è in grado di proporre modelli termici economici e caratterizzati da un ottimo rapporto qualità/prezzo. La MG, marchio del Gruppo Saic, lo sta dimostrando, BYD, sta continuando la sua crescita nel Vecchio Continente.
Cosa devono fare i costruttori cosiddetti tradizionali dell’Europa? Siglare delle alleanze, condividere la tecnologia e sperare nella politica europea, che, tuttavia, fino ad ora è risultata poco lungimirante.

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