
Testo di Mattia Eccheli
Un milione a ogni costo. Il governo vuole una produzione di veicoli su questo livello e per raggiungerlo potrebbe anche resuscitare due costruttori nazionali, Autobianchi e Innocenti, e cederli a costruttori interessati. Cinesi in particolare. Il quotidiano “Il Sole 24 Ore” ha ipotizzato questa soluzione, per la quale il Ministero delle Imprese e del Made in Italy si è fatto intitolare entrambi i marchi (la registrazione ufficiale presso l’Ufficio Brevetti, che lo stesso dicastero controlla, risale allo scorso 28 marzo), seppur con caratteristiche differenti rispetto a quelli sempre di proprietà di Stellantis.
La stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva indicato come obiettivo un milione di veicoli fabbricati nel Belpaese: 880.000 nel 2023, di cui 542.000 auto. I sindacati hanno già lanciato l’allarme per il 2024, perché nei primi sei mesi la produzione Stellantis è scesa sensibilmente e la Cisl l’ha stimata in mezzo milioni di veicoli contro i 750.000 dello scorso anno.

I rapporti con il gruppo che include Fiat, Lancia, Alfa Romeo e Maserati sono burrascosi e la vicenda sulla denominazione dell’ultima nata della casa del Biscione – la Milano, poi ribattezzata Junior per via della fabbricazione non italiana – non ha sicuramente contribuito a migliorare le relazioni. Da tempo il governo si confronta con varie case cinesi, anche se finora senza grande successo. La Chery ha poi optato per l’ex sito della Nissan a Barcellona per produrre in Europa, mentre la BYD, che dopo aver ufficializzato in precedenza l’intesa con l’esecutivo ungherese per il proprio primo sito nel Vecchio Continente, ha appena scelto la Turchia per il secondo.
Il governo italiano intenderebbe mettere a disposizione uno o entrambi i marchi a eventuali case automobilistiche intenzionate a insediarsi nel Belpaese. L’ipotesi sarebbe resa possibile (il condizionale è ancora d’obbligo) grazie alla normativa comunitaria a protezione della provenienza di beni anche manifatturieri e alla prossima registrazione del decreto di attuazione da parte della Corte dei Conti.
Sullo stesso sito del Ministero si legge che “dal 1° dicembre 2025 sarà possibile presentare in Italia una domanda di registrazione di un’Indicazione Geografica Protetta (IGP) anche per i prodotti artigianali ed industriali”. Fra i tre parametri richiesti uno è che “all’origine geografica sia essenzialmente attribuibile una determinata qualità, una reputazione o altra caratteristica peculiare” l’altro è che “almeno una delle fasi di produzione si svolga in una zona geografica delimitata”.
Se poi, malgrado la registrazione dei marchi storici inutilizzati da tempo, la norma si possa applicare al caso specifico e se Stellantis si lasci “sfilare” le due denominazioni senza una contesa legale è tutto da accertare. Certo è, e l’associazione europea che rappresenta i fornitori del comparto, la CLEPA, lo ha ripetuto più volte, che la capacità di un paese di calamitare investimenti nel campo dell’industria automobilistica è legata a molti fattori.
Tra questi ci sono il costo del lavoro (ma in Italia gli stipendi sono fermi da anni), ma anche la provenienza dell’energia (più è alta la quota rinnovabile e minore è l’impronta carbonica di qualsiasi prodotto), la logistica, la certezze dei tempi di burocrazia e giustizia. Con l’ipotesi della cessione dei marchi, il governo sembra voler impiegare “il bastone e la carota”: il primo con Stellantis, il secondo con i suoi potenziali rivali.
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