
Testo di Mattia Eccheli
Oliver Bume, Ceo del gruppo Volkswagen, accolto bene due anni fa anche dai rappresentanti dei lavoratori quando era stato designato per succedere a Herbert Diess, ha già buttato acqua sul fuoco delle polemiche: “Non ci saranno licenziamenti di massa”.
Il manager del dialogo passerà tuttavia alla storia per essere quello sotto la cui gestione il gruppo ha infranto due tabù: quello sulla possibile chiusura di stabilimenti in Germania e quello sul lavoro. Volkswagen, come ha fatto sapere la sigla sindacale IG Metall, ha disdetto in maniera unilaterale il contratto collettivo tedesco e allo stesso tempo anche quello sulla garanzia occupazionale che scadeva nel 2029 e che regola i rapporti da oltre 30 anni.
In Germania il marchio Volkswagen ha circa 120.000 dipendenti e 10 fabbriche, di cui 3 (Chemnitz, Zwickau e Dresda) in Sassonia, una delle regioni della ex DDR dove la xenofoba e antieuropeista Alternative für Deutschland è il secondo partito. La situazione rischia di trasformarsi in una “polveriera sociale” con un effetto domino visto che anche i grandi fornitori dell’industria dell’auto sono sotto pressione da Bosch a Continental, da Zf a Webasto solo per citarne alcuni.
E visto che dopo essere confluita in Stellantis anche a Opel e ai suoi dipendenti erano stati chiesti notevoli sacrifici. Da tempo si parla della necessità di una razionalizzazione dell’organizzazione del marchio Volkswagen, ma quando Diess aveva provato ad accennare più concretamente al tema è stato silurato (peraltro non la sola ragione del “divorzio”). Adesso la situazione è peggiorata e devono venire recuperati, a seconda delle fonti, tra i 5 e i 10 miliardi. Su Volkswagen pesa anche il mezzo milione di auto venduto in meno, l’equivalente di due siti: uno che produce auto e uno componenti.
Con la rescissione del contratto i vertici vogliono azzerare tutto per trovare nuove intese riducendo i costi complessivi. Gunnar Kilian, il capo del personale, evidenzia la necessità di individuare soluzioni, assieme ai rappresentanti dei lavoratori per “rendere la Volkswagen competitiva in modo sostenibile anche per il futuro”.
La sigla delle tute blu IG Metall si è fatta sentire con il responsabile della delegazione della Bassa Sassonia, Thorsten Gröger: “Con un’aggressione senza precedenti allo storico contratto collettivo Volkswagen mette alla prova uno dei più importanti accordi congiunti nella storia dell’azienda”, ha dichiarato.
Daniela Cavallo, la figlia di immigrati italiani diventata capo del collettivo delle fabbriche dell’intero gruppo, è stata lapidaria: “Ci difenderemo con tenacia da questo attacco ai nostri posti di lavoro. Con noi non ci saranno esuberi”. Cavallo fa parte del Consiglio di Sorveglianza del gruppo, perché in Germania anche i lavoratori sono rappresentati negli organi di indirizzo delle aziende. Nei giorni scorsi sono state evocate sia la settimana lavorativa di 4 giorni (una riproposizione del “lavorare meno, lavorare tutti”) sia la reintroduzione degli incentivi all’acquisto di auto elettriche.
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