
Testo di Mattia Eccheli
“Rialzo astronomico immotivato”. “Stangata complessiva da oltre 2 miliardi di euro”. L’Unione Nazionale Consumatori e il Codacons prendono le difese degli automobilisti italiani dopo la diffusione degli ultimi dati sul costo delle Rc Auto da parte dell’Ivass, l’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni. La consolazione, almeno parziale, è arrivata dalle stazioni di servizio: in agosto, in occasione delle “migrazioni” per le ferie, i prezzi al litro della benzina hanno raggiunto i minimi da gennaio.
Già a giugno le polizze erano cresciute del 6,2% su base annua in termini nominali, pari al 5,4% in quelli reali con una media di 403 euro. In luglio la spesa è cresciuta ulteriormente, raggiungendo i 416 euro: “Significa che in poco più di due anni le tariffe Rc Auto hanno subito un rincaro complessivo del 17,8%, passando da una media di 353 euro di gennaio 2022 (dato Ivass) ai 416 attuali”, sottolinea il Codacons.
Che poi aggiusta il tiro e chiarisce che gli “incrementi non appaiono giustificati dall’aumento della incidentalità in Italia, e che cozzano con la situazione economica delle compagnie di assicurazioni per le quali la dotazione patrimoniale si è consolidata, la redditività è migliorata e la liquidità è divenuta più distesa”. L’associazione ha fatto i conti in tasca alle compagnie: calcolando i 32,9 milioni di auto assicurate e gli incrementi totali di 63 euro si arriva a oltre 2 miliardi di euro di maggior esborso da parte degli automobilisti.
“Nulla giustifica un balzo del genere: né l’inflazione, né il costo dei sinistri, né l’incidentalità”, ha tuonato Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. In luglio i rincari sono stati del 7,4% (nominale) e del 6,1% (reale). “La cosa più preoccupante – ha aggiunto – è che, invece di diminuire, il rialzo tendenziale, come successo nel mese di aprile quando la corsa dei prezzi sembrava attenuarsi, si assiste a un’ulteriore allarmante accelerazione”.
L’UNC punta il dito anche sulla clamorosa differenza tra le varie città: a Roma, ad esempio, è stato contabilizzato un aumento dell’11%. “Ci domandiamo da cosa dipenda una tale disparità territoriale, con Prato che, ad esempio, si ferma a un ragionevole +3,1%”, ha insistito l’Unione. La breve nota si conclude con una sollecitazione all’Antitrust, affinché apra almeno “un’indagine conoscitiva per capire se queste differenze da città a città dipendano da restrizioni sul lato della concorrenza, intese restrittive o altro”.
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