
Testo di Mattia Eccheli
Due terzi delle 108 fabbriche europee di automobili hanno un tasso di utilizzo sotto l’80%, che secondo gli esperti è la soglia minima per garantire la redditività di un impianto. Lo rivela una analisi della francese Inovev condotta per conto della rivista tedesca Automobilwoche: esiste una percentuale di errori nelle rilevazioni, concede Jamel Taganza, Ceo vicario della società, ma si tratta di eventuali scostamenti “non significativi”.
Il sovradimensionamento degli impianti, studiati per soddisfare le esigenze di un mercato europeo (ma non solo) che nel frattempo ha perso smalto (in Europa si vendono sempre circa 3 milioni di veicoli in meno rispetto al periodo pre Covid), è un problema per i costruttori che spingono sulla redditività. La sovracapacità produttiva e più ancora la coesistenza di 14 marchi sarà uno dei nodi che dovrà sciogliere il nuovo Ceo di Stellantis: i colloqui per individuare il successore di Carlos Tavares proseguono e secondo l’agenzia Reuters il presidente John Elkann valuterebbe anche in base alle idee su questi temi.
Soprattutto dopo la pandemia, i siti dislocati nei paesi dove i salari sono più bassi hanno garantito i migliori risultati: quello marocchino di Kenitra è fra questi (utili del 700% dal 2019 in poi) malgrado un tasso di impiego del sito del 90%. Alcuni sono addirittura oltre il 100%: quello di Ford di Craiova, in Romania, è al 113%, quello di Volkswagen a Poznan, in Polonia del 112%, quello di Skoda a Mlada Moleslav, nella Repubblica Ceca del 100%. Ci sono poi alcune eccezioni: una è italiana, perché a Sant’Agata Bolognese la Lamborghini produce con un tasso del 102% (il sito di Ferrari non è stato censito), e l’altra è francese, perché Renault lavora a Sandouville con il 103%. In Turchia, a Izmit, Hyundai/Kia sono vicine al massimo (98%), così come anche Bmw a Regensburg, in Germania.

Fra i tassi più di utilizzo più bassi ci sono quelli dei siti francesi di Renault a Flins (1%) e di Mercedes-Benz a Hambach (8%), di Tata a Castle Bromwich nel Regno Unito (2%), di Ford a Colonia, in Germania (5%), oltre a quelli di Stellantis di Cassino (10%) e di Mirafiori (17%) e anche a quello britannico di Ellesmere Port (18%). Fra i 20 impianti citati dalla rivista che non arrivano al 50% di utilizzo e che hanno i conti in rosso, secondo la Inovev nove sono di Stellantis.
Dal 2019 in poi Nissan ha già chiuso la propria fabbrica spagnola a Barcellona, mentre Honda ha cessato le attività sia nel Regno Unito sia in Turchia. I prossimi impianti a chiudere saranno quelli di Audi in Belgio, di Stellantis Oltremanica e di Ford in Germania, a Saarlouis e non è chiaro cosa succederà a Castle Bromwich, dove vengono prodotti i modelli del gruppo Jaguar Landrover di proprietà del gruppo indiano. Tra le fabbriche più sotto pressione oltre a quelle italiane ci sono quelle di Colonia dell’Ovale Blu, di Volkswagen a Emdem e di Audi a Neckarsulm, entrambi in Germania. La ricerca evidenzia che anche a Grünheide, vicino a Berlino, anche il sito di Tesla lavora ancora su volumi lontani dal “pieno regime” (58%). La delocalizzazione avviata dal 2010 ha riguardato solo in parte l’elettrificazione, ma con la stabilizzazione di processi e conoscenze c’è il rischio che venga consolidata.
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