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Il problema della sovracapacità produttiva in Europa

di Redazione - 24/02/2025

 

Volkswagen problemi Cariad

Testo di Mattia Eccheli

Due terzi delle 108 fabbriche europee di automobili hanno un tasso di utilizzo sotto l’80%, che secondo gli esperti è la soglia minima per garantire la redditività di un impianto. Lo rivela una analisi della francese Inovev condotta per conto della rivista tedesca Automobilwoche: esiste una percentuale di errori nelle rilevazioni, concede Jamel Taganza, Ceo vicario della società, ma si tratta di eventuali scostamenti “non significativi”.

A Kenitra, in Marocco, utili al 700% dal 2019

Il sovradimensionamento degli impianti, studiati per soddisfare le esigenze di un mercato europeo (ma non solo) che nel frattempo ha perso smalto (in Europa si vendono sempre circa 3 milioni di veicoli in meno rispetto al periodo pre Covid), è un problema per i costruttori che spingono sulla redditività. La sovracapacità produttiva e più ancora la coesistenza di 14 marchi sarà uno dei nodi che dovrà sciogliere il nuovo Ceo di Stellantis: i colloqui per individuare il successore di Carlos Tavares proseguono e secondo l’agenzia Reuters il presidente John Elkann valuterebbe anche in base alle idee su questi temi.

Soprattutto dopo la pandemia, i siti dislocati nei paesi dove i salari sono più bassi hanno garantito i migliori risultati: quello marocchino di Kenitra è fra questi (utili del 700% dal 2019 in poi) malgrado un tasso di impiego del sito del 90%. Alcuni sono addirittura oltre il 100%: quello di Ford di Craiova, in Romania, è al 113%, quello di Volkswagen a Poznan, in Polonia del 112%, quello di Skoda a Mlada Moleslav, nella Repubblica Ceca del 100%. Ci sono poi alcune eccezioni: una è italiana, perché a Sant’Agata Bolognese la Lamborghini produce con un tasso del 102% (il sito di Ferrari non è stato censito), e l’altra è francese, perché Renault lavora a Sandouville con il 103%. In Turchia, a Izmit, Hyundai/Kia sono vicine al massimo (98%), così come anche Bmw a Regensburg, in Germania.

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Fra i tassi più di utilizzo più bassi ci sono quelli dei siti francesi di Renault a Flins (1%) e di Mercedes-Benz a Hambach (8%), di Tata a Castle Bromwich nel Regno Unito (2%), di Ford a Colonia, in Germania (5%), oltre a quelli di Stellantis di Cassino (10%) e di Mirafiori (17%) e anche a quello britannico di Ellesmere Port (18%). Fra i 20 impianti citati dalla rivista che non arrivano al 50% di utilizzo e che hanno i conti in rosso, secondo la Inovev nove sono di Stellantis.

Dal 2019 in poi Nissan ha già chiuso la propria fabbrica spagnola a Barcellona, mentre Honda ha cessato le attività sia nel Regno Unito sia in Turchia. I prossimi impianti a chiudere saranno quelli di Audi in Belgio, di Stellantis Oltremanica e di Ford in Germania, a Saarlouis e non è chiaro cosa succederà a Castle Bromwich, dove vengono prodotti i modelli del gruppo Jaguar Landrover di proprietà del gruppo indiano. Tra le fabbriche più sotto pressione oltre a quelle italiane ci sono quelle di Colonia dell’Ovale Blu, di Volkswagen a Emdem e di Audi a Neckarsulm, entrambi in Germania. La ricerca evidenzia che anche a Grünheide, vicino a Berlino, anche il sito di Tesla lavora ancora su volumi lontani dal “pieno regime” (58%). La delocalizzazione avviata dal 2010 ha riguardato solo in parte l’elettrificazione, ma con la stabilizzazione di processi e conoscenze c’è il rischio che venga consolidata.

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