
Testo di Mattia Eccheli
L’Italia esce rafforzata dall’ultimo giro di nomine di Stellantis, il gruppo nato dalla fusione tra FCA e PSA. Il Ceo portoghese continua a essere sotto pressione, ma John Elkann, presidente del CdA, ha ufficializzato che “all’unanimità” i vertici hanno espresso il proprio “supporto a Carlos Tavares e ai significativi cambiamenti annunciati”.
Il manager resterà in carica fino all’inizio del 2026 e fino alla fine dell’anno prossimo sarà coinvolto nel processo che condurrà all’individuazione del suo successore (tra i papabili c’è il 50enne olandese Roy Jacobs, attuale Ceo di Philips). L’attestazione è arrivata pochi giorni prima della tesa audizione con le commissioni Attività Produttive della Camera e Industria del Senato.
Con la nuova riorganizzazione, Stellantis ha affidato a Antonio Filosa, 47enne originario di Napoli entrato in Fiat nel 1999, la cassaforte del gruppo. Dopo essere stato il primo italiano a guidare Jeep, gli è stata data anche la responsabilità dello strategico mercato del Nord America, del quale diventa Chief Operating Officer. Prende di posto di Carlos Zarlenga, il cui futuro ruolo non è stato ancora ufficializzato. Entra nella stanza dei bottoni, ossia il Top Executive Team, anche Santo Ficili, classe ’66 e in Fiat dal 1987.

È stato chiamato a guidare i marchi Maserati (al posto di Davide Grasso, altro manager del quale non si conosce ancora la destinazione, il cui avvicendamento segue il divorzio da Giovanni Sgro, che aveva messo in piedi la Divisione Corse) e Alfa Romeo. Al Biscione subentra a Jean-Philippe Imparato, che al ruolo di Ceo di Pro One somma quello, nuovo, di Chief Operating Officer Enlarged Europe, che prima era di Uwe Hochgeschurtz, il tedesco che aveva guidato Opel prima dell’attuale numero uno Florian Huettl e che lascerà l’azienda.
L’altra delicata posizione, quella di Chief Financial Officer, è stata assegnata a Doug Ostermann, con il quale Stellantis rimpiazza Natalie Knight, rimasta nel gruppo poco più di un anno. Ostermann ha trascorsi oltre che in Stellantis anche in General Motors e Opel.
“In questo momento darwiniano per l’industria automobilistica, il nostro dovere e responsabilità etica sono di adattarci e prepararci per il futuro, agendo meglio e più velocemente dei nostri concorrenti, per offrire una mobilità sostenibile, sicura e accessibile”, ha sintetizzato Tavares. Un ragionamento che ripetuto anche ai parlamentari italiani, rimasti insoddisfatti dalla sua audizione.
“È stato molto arrogante – ha commentato Carlo Calenda, per quattro anni dirigente di Confindustria e due volte ministro per lo Sviluppo Economico – ha raccontato le peripezie del mercato dell’auto. Ha detto una sola cosa: che l’impegno preso, e che il ministro Urso ha strombazzato, di un milione di auto prodotte non c’è più. C’è un impegno per un milione di clienti, ma quelli glieli dobbiamo pagare noi con gli incentivi”.
Tavares, in realtà, ha assicurato che il gruppo non intende abbandonare l’Italia, di non voler vendere fabbriche, ma anche che i costi di produzione nel Belpaese sono troppo elevati, il 40% in più per le elettriche. Nel futuro di Stellantis non c’è alcuna fusione con Renault (la smentita è arrivata direttamente dal Ceo del colosso italo franco americano), ma potrebbe non essere escluso un avvicinamento con General Motors. GM non è una rivale nel Vecchio Continente, è forte sull’altra sponda dell’Atlantico e sta riorganizzando le attività in Cina, dove Stellantis non ha una presenza particolarmente significativa.
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