Testo di Francesco Mosconi, fotografie Alessio Migliorini e Arianna Romagnoli
Polo Harlekin. Quando una sera, svogliatamente sfogliando il feed di Instagram, l’ho vista comparire sul mio schermo è stato un tuffo al cuore: una Polo Harlekin? Ma chi è il matto che se l’è comprata? Guardo meglio e quel matto (detto con la massima simpatia e senza offesa per nessuno, anche perché “da vicino nessuno è normale”, cit.) lo conosco, si chiama Lorenzo Caimi ed è un simpatico ventinovenne brianzolo che ho conosciuto tramite un amico comune.
Gli scrivo in direct, un paio di telefonate ed è fatta: in un pomeriggio di fine estate sono qui davanti a questo strano oggetto. Ti dicevo che è stato un tuffo al cuore. Il motivo, come quasi sempre accade in questi casi, è legato all’infanzia: io una Harlekin me la ricordo sempre parcheggiata vicino alla mia scuola. In quanto tale, mi aveva sempre colpito perché sembrava fatta coi mattoncini della Lego. Poi, un giorno, sparita nel nulla, probabilmente venduta o finita chissà dove. Da allora mai più vista.
Partiamo così a chiacchierare, io e Lorenzo, del suo recente acquisto, da un ricordo che ci accomuna: “Era un sogno di bambino”, racconta raggiante, “quando la vidi pensavo che fosse di qualcuno di molto creativo che aveva messo insieme pezzi di Polo diverse; anni dopo ho scoperto che non era una one off, bensì un allestimento speciale. Passano gli anni e la Polo “pezzata” rimane in uno di quei famosi cassetti della memoria che restano chiusi fino a che qualcuno o qualcosa non trovi la chiave per riaprirli. Quel qualcosa accade nel novembre 2016: vedo una Polo Harlekin al centro commerciale di Arese. Lì si è riacceso qualcosa. Ho iniziato a cercarla e, con grande fatica, alla fine l’ho trovata”.
L’esemplare di Lorenzo, che è sempre stato italiano, viene consegnato il 29 gennaio 1997 dalla concessionaria Dorigoni di Trento a una ragazza di nome Miriam che l’ha tenuta per tanti anni, con grande cura. L’auto viene poi reimmatricolata (sempre durante il possesso di questa ragazza) perché le targhe originali si erano scolorite.
Di lì a poco Miriam vende l’auto a due amici di Edolo (BS), che a loro volta la vendono al nostro Lorenzo lo scorso anno. E a vederla così, ben tenuta e originale com’è, non pare possibile che abbia percorso la bellezza di 272.000 km. Invece è tutto vero. E se anche tu ti stai chiedendo “perché?” ti racconto subito la storia di questa variopinta utilitaria.
Prima però concedetemi una piccola parentesi sul termine “utilitaria”, utilizzato di proposito perché proprio così chiamavamo questo genere di auto prima dell’avvento di fantasiose – quanto spesso roboanti – sigle anglofone.
Ma torniamo a noi; in effetti la genesi della Polo Harlekin (o Harlequin, a seconda del mercato di vendita) è davvero curiosa. Siamo nel 1994, VW è pronta a presentare la terza generazione della Polo. Al momento di pianificare il lancio nelle concessionarie, a un gruppo di stagisti del reparto marketing viene l’idea brillante di mischiare i colori delle Polo contenute nelle brochure in una mini serie di dieci vetture da inviare ad alcuni concessionari tedeschi.
Una seconda flotta, sempre di dieci esemplari, seguirà nei primi mesi del 1995. Quello che però in Volkswagen nessuno aveva previsto era che la clientela che entrava in queste concessionarie, divertita da questa livrea inedita, chiedeva di poterla acquistare. Le richieste furono talmente tante, sia alle concessionarie sia direttamente a Wolfsburg, che all’Iaa di Francoforte 1995, Volkswagen presenta la Polo Harlekin in quattro diverse combinazioni di colore.
La base infatti poteva essere in chagallblau, flashrot, ginstergelb o pistazie. In Italia, tuttavia non arrivarono tutte e colorazioni, ma furono rese disponibili solo la verde “pistazie”, come quella del nostro servizio, e gialla.
1.4 da 60 cv o il 1.6 di questo esemplare. La cosa che sicuramente non ti aspetti, invece, è che le Polo Harlekin uscivano dalla catena di montaggio “monocromatiche”, poi una squadra di sette operai specializzati, delocalizzati in una ex fabbrica di vernici, mischiavano i pezzi secondo un ordine predeterminato. Il cliente finale però non poteva scegliere la tinta base, quindi l’assegnazione dei quattro colori, anzi dei due colori sul nostro mercato, era puramente casuale.
Inizialmente le Harlekin previste erano solo 1000, con tanto di numerazione e portachiavi personalizzato. Andarono a ruba, complice una campagna pubblicitaria molto azzeccata con lo slogan: “Volkswagen Polo Harlekin, non l’hanno voluta in nessun’altra maniera”, tanto che Volkswagen decise di prorogarne la produzione al 1997, fino a circa 3800 esemplari (non più numerati dalla 1001 in poi).
Di queste altre 2800 coloratissime Polo, 500 vennero acquistate dalla catena di fast food McDonald’s in occasione del venticinquesimo anniversario di presenza sul mercato tedesco e messe in palio con un concorso a premi.
Come funzionava? Gli adesivi colorati, componenti la Polo, venivano consegnati con gli scontrini, andavano assemblati, incollati su una cartolina d’acquisto e spediti per ottenere la possibilità di vincere una delle ambitissime utilitarie di Wolfsburg. Bella storia, eh?
Non è chiaro quanti esemplari siano stati venduti in Italia, ma da un censimento effettuato dalla community di appassionati di questa bizzarra serie limitata, pare ne siano circolanti al momento poco più di dieci. Sarà per la sua stranezza, sarà per la sua colorazione ma, mentre giriamo per il quartiere Isola di Milano, gli occhi di tutti sono per lei: c’è chi chiede cosa sia, chi le scatta una foto con lo smartphone; chi, più appassionato, la ricorda e la guarda con simpatia.
Di una cosa comunque sono sicuro: se fossimo usciti con una F40, forse non avremmo attratto così tanti sguardi. In città la Polo ha ancora tanto da insegnare, così compatta, con ottima visibilità e maneggevolezza. Certo, il motore 1.6, da 75 cv, non fa miracoli, ma una macchina così non si compra certo per andar forte…
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