Testo di Mattia Eccheli
Ancora schermaglie nella guerra sui dazi tra Unione Europea e Cina. Seppur non ancora incassata, la maggior tassazione per le elettriche importate dalla Repubblica Popolare è in vigore dallo scorso 5 luglio. Il governo del del Celeste Impero si è già appellato al WTO, l’organizzazione mondiale del commercio, contro il provvedimento comunitario, ma nel frattempo Bruxelles ha già rivisto, al ribasso, l’imposizione aggiuntiva che si somma al 10% stabilmente in vigore.
La tesi della Commissione è che le sovvenzioni di cui beneficiano i costruttori che fabbricano in Cina costituiscano un vantaggio competitivo rispetto a quelli che producono in Europa, con una distorsione del mercato. Sia il Ceo di Stellantis Carlos Tavares sia quello del gruppo Renault Luca de Meo avevano sollecitato l’UE ad intervenire per evitare il possibile crollo dell’industria automobilistica del Vecchio Continente.
Scettici, anzi contrari, i numeri uno dei gruppi tedeschi Bmw, Mercedes-Benz e Volkswagen, per i quali la Cina è il bacino più importante per volumi. I balzelli erano stati giudicati “la via sbagliata”: il governo della Repubblica Popolare aveva avanzato già in maggio l’ipotesi di possibili imposizioni aggiuntive nell’ordine del 25% sulle importazioni di veicoli dall’Europa.
Verrebbero colpiti quelli con motori a combustione interna e di grossa cilindrata, una “ritorsione” che penalizzerebbe proprio le case automobilistiche della Germania. La revisione dei dazi “premia” soprattutto Tesla, che produce a Shanghai, e che d’ora in poi dovrà versare solo il 9% in più. Alla BYD (che ha già investito in Ungheria per produrre auto in Europa) l’importo suppletivo è stato ridotto al 17% e a Geely, che fra gli altri marchi controlla Volvo Cars e Polestar, al 19,3%.
Sia Geely sia BYD sono aziende private, mentre la SAIC, che è proprietaria di MG, il marchio a controllo cinese più venduto in Europa dopo Volvo, è una società a controllo pubblico. Anche alle importazioni di MG sono stati ridotti i dazi, che restano peraltro elevati: 36,3%.
La Commissione aveva motivato i balzelli differenziati con i livelli di collaborazione ottenuti dalle varie case automobilistica nel corso dell’indagine, peraltro ancora in corso. Quello della SAIC era stato liquidato come “altamente deficitario”. Più che riservati con i giornalisti (difficile ottenere interviste, talvolta anche dati e informazioni più tecniche richieste abitualmente), i manager delle case automobilistiche cinesi sono stati avari di informazioni anche con la Commissione.
Lo scorso mese, peraltro solo attraverso uno dei propri canali social, la SAIC si era lamentata di come l’UE avesse sollecitato anche “informazioni commerciali sensibili”, tipo la formula chimica delle soluzioni impiegate per le batterie. Secondo la casa cinese un ambito escluso dall’istruttoria: una fonte anonima citata da Automotive News riferisce anche di richieste di notizie circa i fornitori. In ogni caso un approccio diverso rispetto a quello di BYD e Geely che per rispondere alle domande dell’indagine si sarebbero affidati a studi legali ed esperti (lobbisti?) europei.
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