
Testo di Mattia Eccheli
Con un comunicato obbligatorio di sei righe sulla base delle normative alle quali si devono attenere le società quotate in Borsa, Porsche ha ufficializzato che Lutz Meschke, il numero due del marchio, e Detlev von Platen, responsabile delle vendite, dovranno liberare le loro scrivania. Le ragioni del divorzio unilaterale non sono note, ma a quanto pare riguardano le frizioni con i vertici e i risultati del costruttore, che rappresenta la cassaforte del gruppo Volkswagen.
Meschke ha 58 anni e dal 2001 lavora in Porsche, della quale è il responsabile di finanze e informatica. Ma, soprattutto, poiché il Ceo Oliver Blume è anche numero uno del colosso di Wolfsburg, è il suo braccio destro (non solo formalmente, ma anche ufficialmente visto che è il vice presidente vicario del Comitato esecutivo), ed era considerato il suo più probabile successore nel caso avesse lasciato la carica, visto che alcuni azionisti chiedono la rinuncia al doppio ruolo.

La sintetica nota di sabato chiarisce che il Consiglio di sorveglianza ha autorizzato il suo presidente, l’81enne Wolfgang Porsche, ad “avviare un colloquio” con i due top manager “in relazione alla risoluzione anticipata e amichevole del mandato”. Non è stato precisato se a Meschke verrà chiesto di rinunciare anche alla sua poltrona nella Porsche Holding SE, la finanziaria attraverso la quale le dinastie Piech e Porsche controllano il gruppo Volkswagen, che occupa dal 2020. Il congedo da Meschke apre anche nuovi scenari nel gruppo, che ha spesso attinto all’esperienza di manager del marchio: sono nel recentissimo passato, prima che a Blume, era accaduto nel 2015 a Matthias Müller, chiamato a traghettare l’azienda dopo l’allontanamento di Martin Winterkorn per via del dieselgate.

Secondo indiscrezioni, Meschke avrebbe contestato sempre più apertamente la politica sull’elettrificazione di Blume. La stessa Porsche ha modificato la propria strategia per il futuro, rivededola nemmeno troppo cautamente in chiave “convenzionale”. Assieme a Blume, Meschke è stato uno dei protagonisti della quotazione in Borsa di Porsche e dei primati sulla marginalità. Che per il 2024 era stata stimata tra il 15 e il 17%, elevatissima per qualsiasi altro costruttore. A quanto pare sarà “solo” tra il 14 e il 15%, comunque invidiabile, ma evidentemente non abbastanza per la casa di Stoccarda che ragionava in prospettiva sul 20%. A incidere negativamente sul risultato è stato il calo delle vendite in Cina, -28%, che ha fatto scivolare in negativo il totale dell’anno (seppur con percentuali inferiori, anche i rivali tedeschi Bmw e Mercedes hanno contabilizzato flessioni nella Repubblica Popolare).
Nel 2024 Porsche ha commercializzato poco meno di 311.000 auto, il 3% in meno rispetto all’ennesimo record storico che il 61enne von Platev aveva scodellato negli ultimi anni: 2020 a parte, Porsche ha alle spalle tre lustri di crescita praticamente ininterrotta. Con la nomina di Alexander Pollich, nel corso dell’anno era già stato avvicendato il capo delle operazioni in Cina. Tuttavia, con risultati come quelli ottenuti finora, i due manager sembravano “blindati”. Sembravano, appunto.
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