
Testo di Mattia Eccheli
È anche così che Tesla sta cercando di convincere i propri azionisti a votare senza modifiche il pacchetto da quasi 56 miliardi di dollari (poco meno di 52 miliardi di euro), il doppio del PIL annuale dello Zimbabwe, uno stato con oltre 16 milioni di abitanti, con il quale il pionieristico costruttore americano di auto elettriche intende riconoscere l’impegno del suo numero uno.
Le notti in fabbrica e gli orari quasi impossibili del manager di origini sudafricane sono diventati quasi proverbiali, per non dire leggendari. Musk aveva sacrificato una remunerazione “ordinaria” (10 anni senza salario) optando per una legata a risultati e capitalizzazione di borsa. Gli astronomici 56 miliardi (250 volte la retribuzione media dei colleghi dirigenti di Tesla) sono frutto di questa scelta, approvata nel 2018.
Nel gennaio di quest’anno, tuttavia, dopo un dibattimento di 5 giorni, Kathaleen McCormick, una giudice del Delaware, ha stabilito che l’operazione non era stata presentata in modo corretto agli investitori. Fra i non proprio trascurabili profili di scarsa trasparenza erano stati sollevati i possibili conflitti di interesse fra alcuni “membri indipendenti” del Consiglio di Amministrazione che avevano contrattato l’accordo e lo stesso Musk. Era emerso che alcuni dirigenti avevano interessi economici finanziari in comune al di fuori di Tesla.
Il giudice aveva dichiarato nullo il voto con il quale era stata approvata l’intesa. Il caso era stato portato in tribunale da Richard Tornetta, rappresentato dall’avvocato Greg Varallo. La società si è così trovata nella necessità di raccogliere nuovamente i consensi sul pacchetto retributivo e li ha chiesti esattamente sul medesimo accordo, oltre che sul trasferimento della sede in Texas. Le inserzioni invitano gli azionisti a proteggere “i loro diritti e i loro investimenti” accettando il patto concordato ma bocciato in tribunale.
È un passaggio quantomeno “curioso”, perché Tesla è famosa per non acquistare mai spazi pubblicitari. E non sfugge nemmeno il fatto che una parte della campagna venga finanziata con le risorse di Tesla su “X”, il social acquistato da Musk. Gli azionisti hanno tempo fino al 13 giugno per esprimersi. La giudice McCormick aveva giudicato esagerato il compenso anche perché all’epoca il manager era impegnato anche su altri fronti, perché oltre a occuparsi di Tesla dirigeva SpaceX, Neuralink e The Boring Company.
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