
Testo di Fabio Madaro
Come aveva anticipato la testata specializzata britannica Autocar, dall’India arriva la conferma che il 2.0 Multijet, fiore all’occhiello della tecnologia diesel firmata Fiat Powertrain Technologies (FPT), ora fa ufficialmente parte integrante del patrimonio industriale di Tata Motors.
Il colosso indiano ha infatti ottenuto i diritti di licenza per la produzione e lo sviluppo interno del propulsore, ponendo le basi per un futuro dove il diesel – appunto in India – sarà tutt’altro che fuori dai giochi. Un colpo a sorpresa? In realtà lo è fino a un certo punto perché Tata e Fiat hanno una lunga storia di collaborazioni e il know-how europeo è sempre stato considerato un asset prezioso per l’industria automobilistica di quel Paese. La licenza ottenuta da Tata consente una totale autonomia nella gestione tecnica e industriale del motore. In altre parole significa che sviluppo, adattamento, produzione e integrazione su veicoli futuri, non dovrà più più dipendere da forniture esterne.
Il Multijet 2.0 è un quattro cilindri in linea, 16 valvole, con iniezione diretta common rail di seconda generazione con turbo a geometria variabile. Nato nei laboratori FPT come evoluzione del celebre 1.9 JTD, il 2 litri a seconda delle versioni erogava tra i 110 e i 190 cv (in questo caso nella configurazione biturbo) e diventò, a partire dal 2008, uno dei pilastri di modelli molto diversi tra loro: dalla Fiat Bravo alla Jeep Compass, passando per Alfa Romeo Giulietta, Lancia Delta, Suzuki Vitara e anche Opel Insignia. Un vero caposaldo tra i diesel: versatile, robusto, collaudato in milioni di chilometri.
La domanda è legittima e la risposta è piuttosto semplice. In un’epoca in cui l’industria dell’auto globale sembra orientarsi all’elettrico, il contesto indiano è profondamente diverso: le infrastrutture per la ricarica sono limitate, i costi delle auto a batteria restano alti e il diesel rappresenta ancora una scelta vincente per decine di milioni di utenti. Da sottolineare anche che Tata eredita la possibilità di studiare e ottimizzare gli abbinamenti con cambi manuali o automatici, trazioni integrali, software di gestione e layout meccanici già rodati.
È dunque evidente che in India il Multijet potrebbe beneficiare di orizzonti temporali decisamente più lunghi rispetto all’Europa. Anche perché gli sviluppi promessi da Tata prevedono aggiornamenti continui con catalizzatori di ultima generazione, EGR più efficienti, mild hybrid a 48V e ottimizzazioni termiche pensate per ridurre le emissioni nei cicli reali. In un mondo automobilistico dove la grande innovazione sembra passare solo per le batterie, questa mossa ci ricorda che, in alcune parti del globo, la combustione interna ha ancora molto da dire. E che a ben guardare, pensando ad esempio al timido ritorno del diesel in modelli di diversi marchi europei, potrebbe avere ancora qualche carta da giocare anche nel Vecchio Continente.
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