
Testo di Fabio Madaro
Mercedes crolla, Porsche affonda, Audi e Volkswagen stringono i denti, Bmw si difende. Le grandi case automobilistiche tedesche, per decenni sinonimo di eccellenza ingegneristica oggi si ritrovano sotto pressione. Un mix letale di dazi, rallentamento cinese, elettrificazione incerta e forte concorrenza le costringe a cambiare pelle. Alcune ci riescono, altre arrancano.
Per decenni, le grandi case automobilistiche tedesche sono state le divinità del mondo automotive: intoccabili, ammirate, capaci di dettare lo stile e la tecnologia a livello globale. Ma nel 2025 qualcosa si è rotto. I numeri, impietosi, raccontano di un mondo che cambia in fretta, troppo in fretta anche per chi ha dominato per tanto tempo.
Mercedes-Benz, il marchio della “stella”, ha registrato un crollo dell’utile operativo del 51% al termine del primo semestre. I margini della divisione auto si sono ridotti a tal punto che oggi parlano, con cautela, di un range compreso tra il 4% e il 6%. Non proprio il profilo di un brand premium. A pesare, ci sono i dazi americani imposti dall’amministrazione Trump, che solo per Mercedes significano oltre 360 milioni di euro in costi aggiuntivi. Ma non è solo questo: le vendite in Cina calano, i modelli elettrici non sfondano, e il portafoglio prodotti sembra soffrire più di altri la transizione in corso.

E poi c’è il mitico marchio di Zuffenhausen, quello che fino all’altro ieri sembrava immune a tutto, forte di un modello industriale costruito sull’eccellenza e sull’esclusività. Ebbene oggi è costretto ad ammettere che quel sistema non regge più. Il secondo trimestre si è chiuso con un crollo del 91% dell’utile operativo, un dato che ha fatto tremare persino la Borsa. Il Ceo Oliver Blume ha parlato apertamente della necessità di “ripensare il modello di business”, avviando una profonda ristrutturazione interna e tagli al personale. Un tonfo che ha il sapore della resa, almeno temporanea, di uno dei simboli dell’automotive tedesco. Peccato. Anche se ripensare il modello di business è il minimo che in Porsche possano fare dopo aver scommesso con troppa leggerezza sull’elettrificazione, puntando troppe fiches sui motori a batteria. Macan docet.

La grande novità, però, è che non tutti stanno affondando allo stesso modo. Bmw, ad esempio, sta attraversando la tempesta con più stabilità. I risultati non sono brillanti, certo, ma nemmeno drammatici. La casa di Monaco ha mantenuto margini soddisfacenti e vendite relativamente stabili, anche grazie a una strategia meno radicale e più flessibile. Bmw non ha mai puntato tutto sull’elettrico puro, preferendo una filosofia “open technology” che tiene in vita i motori termici accanto ai BEV e ai plug-in. Questo approccio le consente oggi di adattarsi meglio alle oscillazioni della domanda nei diversi mercati. C’è poi un altro elemento che gioca a favore di Bmw: la gestione industriale. Gli impianti produttivi della casa bavarese sono stati progettati fin dall’inizio per assemblare su una stessa linea veicoli a combustione, ibridi ed elettrici. Una modularità che oggi fa la differenza, specie quando la domanda cambia rapidamente come in Cina o in Europa. È una strategia prudente, ma al momento vincente.

Volkswagen e Audi, dal canto loro, hanno scelto un’altra strada: spingere sull’elettrico, ma in modo selettivo e intelligente. Il Gruppo Volkswagen ha subito un calo dell’utile operativo nel secondo trimestre (–30%) ma ha anche mostrato una certa reattività. Non è un caso che, mentre in Europa si rivedono le stime e si pianificano tagli, negli Stati Uniti si moltiplicano le iniziative. Il colosso di Wolfsburg ha avviato una partnership industriale con Rivian, ha rilanciato il marchio Scout per il mercato americano e sta trattando direttamente con Washington per aprire nuovi impianti produttivi sul suolo USA, anche per abbattere l’impatto dei dazi.
Audi, in particolare, si distingue per una delle mosse più emblematiche del momento: ha realizzato un modello specifico per la Cina insieme al marchio locale SAIC. Un’operazione che solo pochi anni fa sarebbe sembrata un’eresia per un brand come Audi, geloso della propria indipendenza tecnica. E invece oggi diventa una carta vincente: i cinesi chiedono prodotti su misura, e Audi ha deciso di ascoltarli, anziché imporgli il proprio standard. La vettura realizzata con SAIC è una Suv elettrica pensata esclusivamente per il mercato locale, e rappresenta un simbolo concreto di come alcuni marchi tedeschi stiano imparando a essere meno rigidi e più adattabili. Quasi da non credere…

In questo panorama fluido e incerto, la flessibilità sembra essere il nuovo credo. Chi resta ancorato a schemi industriali rigidi, chi punta solo sull’immagine o sull’heritage del marchio, rischia di trovarsi fuori gioco. Essere premium, oggi, non basta più. Serve saper produrre dove conviene, offrire quello che il cliente vuole (anche se è meno “puro”), cambiare pelle se necessario.
Il 2025 molto probabilmente passerà alla storia come l’anno della caduta degli dei dell’auto tedesca. Ma non sarà una fine, bensì una trasformazione (dolorosa certo) necessaria. Alcuni — come Bmw e Audi — sembrano già aver imboccato la via giusta per sopravvivere e rinascere. Altri — come Mercedes e Porsche — stanno ancora cercando un nuovo equilibrio tra identità e necessità. Quel che è certo è che il vecchio mondo sembra ormai al capolinea. E il nuovo, ancora tutto da scrivere, difficilmente perdonerà errori o esitazioni.
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