
Quando i colossi dell’auto acquisiscono un marchio in crisi ma dal passato glorioso i rischi sono dietro l’angolo. È il caso della Lotus, rilevata dal colosso Geely nel 2017, che dopo un avvio promettente è andata incontro a una difficile crisi.
Secondo un report di Bloomberg, la compagnia inglese ha ufficialmente negato l’intenzione di interrompere la produzione nel Regno Unito, smentendo alcune indiscrezioni secondo cui lo storico stabilimento di Hethel sarebbe stato destinato alla chiusura.
“Stiamo valutando attivamente diverse opzioni strategiche per migliorare l’efficienza e garantire la competitività globale in un mercato in continua evoluzione”, ha dichiarato l’azienda, sottolineando che “Lotus Cars continua a operare normalmente e non ha intenzione di chiudere lo stabilimento”.
La smentita arriva dopo che il Financial Times aveva riportato la sospensione della produzione a metà maggio, citando problemi legati alle scorte e alle difficoltà nella catena di approvvigionamento, aggravate dai dazi statunitensi. Secondo la testata, sarebbero a rischio 1.300 posti di lavoro.
La notizia ha avuto un impatto significativo in un contesto già fragile per l’industria automobilistica britannica, un tempo fiorente con marchi come Mini e Jaguar, ma ora in declino a causa della Brexit, degli alti costi energetici e delle chiusure di altre aziende come Honda e Ford. La chiusura di Hethel rappresenterebbe un ulteriore duro colpo.
L’ingresso della Geely nel capitale di Lotus aveva suscitato inizialmente grande entusiasmo, complici anche i successi ottenuti con la Volvo. Il marchio svedese, infatti, dopo la disastrosa gestione di Ford, sotto il colosso era nuovamente tornato a splendere di luce propria. La Geely aveva infatti saggiamente deciso di mantenere il DNA svedese del marchio, management compreso. E i risultati gli hanno dato ragione.
Tuttavia, nel tempo, le promesse sembrano essersi sgonfiate. La Polestar, il marchio di Volvo destinato alle elettriche prestazionali, è in perdita, e la stessa Volvo ha subito una recente ristrutturazione da 1,6 miliardi con taglio di 3mila posti di lavoro.
Anche il percorso con Lotus ha visto alti e bassi. Dopo gli investimenti iniziali a Hethel e il lancio della sportiva Emira, il Gruppo cinese ha puntato sempre più su modelli elettrici globali progettati e prodotti in Cina, spostando l’attenzione lontano dal Regno Unito. L’apertura di un nuovo centro di progettazione nelle Midlands e l’uscita di nuovi suv e berline elettriche destinati al mercato globale hanno di fatto marginalizzato lo stabilimento inglese e il suo know-how tecnico.
Inoltre, alcuni degli investimenti della Geely sono alquanto discutibili. Sedi lussuose, management poco sensibile alla tradizione del marchio e target di vendita irrealistici per veicoli elettrici, che sono stati disattesi. Lo scorso dicembre l’azienda ha rivisto la propria strategia abbandonando l’idea di vendere solo vetture a batteria entro il 2028 e aprendo alle tecnologie ibride plug-in.
L’incertezza resta. Nonostante la rassicurazione ufficiale, la situazione è in evoluzione, con continui scambi tra il governo britannico, Geely e Lotus.
La crisi della Lotus nasce da lontano ed è in parte causata dalla transizione in atto. Le sportive della Lotus sono diventate famose in tutto il mondo per il loro invidiabile rapporto peso/potenza. Oggi replicare quel modello di sportività è complicato. Ma la soluzione di proporre berline come la Emeya o suv come la Eletre, che sono di certo pesi piuma, non appare del tutto condivisibile.

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