
Testo di Mattia Eccheli
Per il momento ancora in ordine sparso, l’Europa ha reagito a parole ai “dazi reciproci” imposti da Donald Trump: il 20% sulle importazione dal Vecchio Continente perché la Casa Bianca ha calcolato anche l’imposta sul valore aggiunto tra le tasse, il 25% sulle auto da subito e da maggio anche sulla componentistica. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato che “non sono una catastrofe” e che occorre lavorare per abolirli. Emmanuel Macron, il presidente della Francia, ha invece parlato di un intervento “brutale” da parte della Casa Bianca e ha chiesto alle aziende del paese di non investire più negli Stati Uniti.
Il ministro del Made in Italy Adolfo Urso ha sollecitato l’Unione Europea a rivedere il cosiddetto Green Deal che “ha portato al collasso l’industria dell’auto” e anche a spingere sull’opzione “buy european” sulla falsariga del “buy american”. Secondo il ministro, i nuovi balzelli potrebbero incidere negativamente per lo 0,3% sulla crescita economica dell’Italia ed eventuali rappresaglie doganali potrebbero portare il danno al mezzo punto percentuale.
Secondo Confartigianato, i dazi statunitensi al 25% sulle automobili colpiscono in particolare le imprese dell’Emilia-Romagna, regione in cui si concentra il 67,1% del totale dell’export italiano di autoveicoli e componenti per auto verso gli USA. Poi il Piemonte (12,3%), la Campania (7,4%) e il Trentino-Alto Adige (2,4%).
La reazione tedesca è stata quella anticipata ieri della VDA (trovate QUI l’articolo), l’associazione che rappresenta la filiera, perché sono in corso le trattative per la formazione del nuovo governo. L’ACEA, l’organizzazione dei produttori europei, si è fatta sentire con la direttrice generale Sigrid de Vries: “Siamo profondamente preoccupati per l’escalation delle tensioni commerciali nel mondo. Esortiamo i nostri leader a incontrarsi urgentemente affinché possano trovare una soluzione a qualsiasi problema che impedisca il commercio libero ed equo tra alleati storici e consentire all’UE-USA di tornare a prosperare”.
De Vries ha ricordato come le case automobilistiche europee siano impegnate negli Stati Uniti con un “contributo importante all’economia statunitense” per la quale rappresentano circa mezzo milione di posti di lavoro. Nel solo 2024 sono state esportati verso gli USA oltre 750.000 veicoli.
Ferrari aveva ritoccato i listini americani prima ancora del “liberation day” di Trump, mentre Stellantis è stata la prima a reagire ed è andata nella direzione opposta a quella auspicata dal presidente che aveva promesso una “nuova età dell’oro” (Wall Street ha intanto “bruciato” 2.000 miliardi). Almeno provvisoriamente, il gruppo franco-italo-americano ha licenziato 900 lavoratori occupati in 5 stabilimenti statunitensi per far fronte alla sospensione delle attività nella fabbrica canadese di Windsor (due settimane) e di quella messicana di Toluca (un mese) disposta per rimodulare la produzione e limitare gli effetti dei dazi.
Al contrario, General Motors aveva già anticipato la volontà di aumentare la produzione di veicoli commerciali leggeri (i pick-up) nello stato dell’Indiana: per potenziare lo stabilimento di Fort Wayne procederà anche all’assunzione di alcune centinaia di lavoratori, tra 225 e 250.
Il gruppo Volkswagen starebbe valutando l’introduzione di una sorta di sovrapprezzo per le importazioni negli Stati Uniti e la sospensione delle importazioni ferroviarie delle auto prodotte in Messico (quelle via mare andrebbero avanti, incluse quelle dall’Europa), a cominciare dalla best seller USA, la Tiguan, fino alle Jetta e Taos. Circa i listini, la rete dovrebbe ricevere informazioni dettagliate entro la metà del mese.
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