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Come l’Europa rischia di diventare una concessionaria della Cina

di Emiliano Ragoni - 12/09/2025

AUDI E5 Sportback

Nella corsa globale verso l’elettrico, l’anno spartiacque potrebbe essere il 2021. Non per un trattato, né per una legge, ma per l’arrivo sul mercato della Zeekr 001: una berlina elettrica ad alte prestazioni, prodotta in Cina, con design europeo e oltre 700 km di autonomia. L’auto che, secondo un recente articolo dell’agenzia Reutersha segnato un prima e un dopo per l’industria automobilistica cinese e per l’Europa.

I brand cinesi da tenere d'occhio nel 2025

La Cina è diventata fornitore globale di tecnologia

Da quel momento, la Cina non è più solo il più grande mercato del mondo. È diventata un fornitore globale di tecnologia, piattaforme e software per costruire le auto del futuro. E l’Europa? Sta iniziando a indossare i panni del cliente.

L’elettrica cinese Zeekr 001 ha mandato un messaggio chiaro alle case occidentali. Non solo la Cina sa costruire automobili, ma può farlo con standard tecnologici e stilistici europei. Una perfetta risposta a questo nuovo paradigma è l’Audi E5 Sportback, elettrica sviluppata in soli 18 mesi con l’ausilio del colosso cinese SAIC, con tecnologia, software e powertrain forniti proprio dal colosso cinese.

Così fan tutte…

E non è un caso isolato. Toyota lavora con GACVolkswagen con XpengRenault ha sviluppato la Dacia Spring con Dongfeng, e Ford sta cercando un partner per costruire global EVs su basi cinesi. Il modello è sempre lo stesso: utilizzare una piattaforma cinese pronta all’uso, adattarla, occidentalizzarla, e arrivare sul mercato in metà tempo.

Dietro il boom della mobilità elettrica cinese c’è un secondo fenomeno più silenzioso ma potenzialmente ancora più dirompente. La Cina non esporta solo auto, ma architetture di prodotto. Sistemi integrati, software Adas, pacchi batteria e piattaforme rolling chassis pronte per essere vestite con un logo europeo o americano.

La Reuters lo chiama l’approccio “China Inside”. Non è necessario che l’auto sia venduta con un marchio cinese, basta che lo sia la sua tecnologia.

Xpeng Next P7

Una scelta obbligata

Le ragioni di questa “alleanza forzata” sono duplici. Le case occidentali, frenate da cicli industriali lunghi e investimenti già superati, hanno bisogno di soluzioni rapide ed economiche per restare nel mercato elettrico. Permanenza necessaria anche per ottemperare alle disposizioni europee.

Dall’altro lato, come abbiamo detto anche in questo articolo, i costruttori cinesi devono trovare sbocchi all’estero dopo che in patria infuria una guerra dei prezzi che sta decimando la redditività di interi gruppi.

Questa è la ragione che si cela dietro alla nascita di Joint venture, accordi di licenza, collaborazioni R&D, fusioni di software e batterie. In alcuni casi, come quello del fondo arabo CYVN Holdings, la base tecnologica cinese viene usata anche per rilanciare marchi europei di prestigio.

Europa contro Cina?

La partita, però, si gioca su un terreno scivoloso. Come ammonisce Andy Palmer, ex Ceo di Aston Martin: “A lungo andare, se non controlli la tua tecnologia, diventi solo un rivenditore”.

Il pericolo è duplice: perdita di identità industriale e dipendenza strategica. Ma non è solo una questione di orgoglio. I cinesi hanno modelli di business agili, mentre le aziende occidentali si muovono ancora su binari troppo rigidi.

Volkswagen, ad esempio, valuta di sostituire le proprie piattaforme con quelle di Xpeng. Se il test funziona in Cina, il modello potrebbe essere replicato su scala globale.

Il nuovo ordine elettrico

Le case cinesi non vendono solo auto: vendono anche il modo di farle. Questo sistema ha permesso loro di diventare in pochi anni i partner di riferimento per molti marchi storici.

CATL, il gigante delle batterie, ora propone anche un chassis modulare (Bedrock) pensato per essere assemblato da microbrand, startup, o persino governi in cerca di un “auto nazionale elettrica”.

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Le Case europee riusciranno a mantenere la loro identità?

Secondo Oliver Wyman, i recenti accordi con le Case del Dragone consentono alle compagnie tradizionali di immettere sul mercato prodotti maturi in meno tempo e con meno spese. Ma comporta un rischio d’identità: si perde il controllo su ciò che definisce davvero un marchio.

Per questo, spiegano gli analisti, la chiave sarà integrare la tecnologia cinese senza perdere la propria anima.

La sfida è quindi culturale prima che tecnologica. Come integrare tutto questo mantenendo una chiara identità di marca? Come evitare di diventare un costruttore senz’anima in mano ad architetture standardizzate?

Entro i prossimi anni il vero valore aggiunto potrebbe non essere più il badge sul cofano, ma il software e l’architettura sottostante. E lo hanno dimostrato sia Porsche che Audi: il marchio è sempre meno importante.

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