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I colossi dell’auto elettrica cinese, spinti da un’espansione internazionale accelerata, stanno conquistando quote di mercato nei principali mercati esteri. Ma il prezzo di questa corsa si fa sentire in patria, dove una guerra dei prezzi sempre più aspra sta destabilizzando l’intero comparto.
La Cina, oggi primo produttore mondiale di veicoli elettrici, è alle prese con una guerra commerciale interna senza precedenti. L’ultima ondata di sconti guidata da Byd — che ha portato il prezzo della citycar Seagull (da noi venduta con il nome di Dolphin Surf) sotto gli 8.000 dollari — ha acuito la pressione su concorrenti e filiera produttiva. Secondo quanto riportato da Reuters, la redditività delle case auto è ormai al limite, e le più piccole faticano a rimanere operative. Alcuni marchi, pur di gonfiare i volumi, avrebbero addirittura immatricolato veicoli nuovi come usati, spingendo le autorità a intervenire.
Ma l’impatto più evidente si registra a valle, tra i concessionari. La Camera di Commercio dei Concessionari Auto della Cina ha lanciato un appello formale: basta sovraccaricare i punti vendita con stock invenduti, basta scaricare su di loro gli effetti della guerra dei prezzi. Il caso di un importante rivenditore Byd nella provincia dello Shandong — chiuso insieme ad almeno altri 20 saloni — è emblematico. La richiesta è chiara: obiettivi più realistici, pagamenti più rapidi, stop alle chiusure imposte con il pretesto di “ottimizzare” la rete.
Sul fronte internazionale, intanto, l’offensiva cinese continua. Prezzi ultra competitivi, tecnologie integrate, e una capacità produttiva difficilmente eguagliabile hanno permesso a gruppi come Byd, Geely e persino a nuovi entranti come Xiaomi e Huawei di guadagnare terreno ovunque, dall’Europa al Sud-est asiatico. La recente sfida tra Tesla e Byd — analizzata nel nostro articolo che trovate QUI — è solo una delle manifestazioni visibili di questa ascesa.
Tuttavia, l’aggressività commerciale che consente questo slancio globale sta creando fratture interne sempre più profonde. E senza un riequilibrio, il rischio è che l’industria cinese dell’auto possa pagare il suo successo sul piano internazionale con una crisi sistemica tra le mura di casa.
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