
Con oltre 30 milioni di veicoli costruiti ogni anno, di cui 26 milioni sono automobili, la Cina si è ormai imposta come il primo produttore mondiale di auto. Un primato che da alcuni mesi si è esteso anche all’export, superando il Giappone come primo paese esportatore. Ma con la super crescita sono arrivate anche le prime criticità.
In Europa e conseguentemente anche in Italia, la presenza di marchi cinesi è in forte aumento. Tuttavia, non tutti possono vantare lo stesso livello di affidabilità, qualità costruttiva e, soprattutto, una valida assistenza post-vendita. Troppo spesso, infatti, la reperibilità dei ricambi o i lunghi tempi di attesa per le riparazioni hanno generato una diffusa insoddisfazione tra i clienti europei. Come riportato dalla rivista francese Automobile-Magazine, il caso più emblematico riguarda la MG4, compatta elettrica che ha accumulato diverse lamentele sul fronte dell’assistenza. Servirebbero infatti settimane, se non mesi, per dei ricambi. Ma anche in Italia sono diversi i clienti che si sono lamentati sia della MG che della DR in virtù dei lunghi tempi di attesa delle parti di ricambio.

La Cina, consapevole del rischio che l’intera immagine dell’industria automobilistica nazionale possa essere compromessa da aziende poco strutturate, ha deciso di intervenire. A partire dal 1° gennaio 2026, sarà necessaria una specifica licenza ministeriale per esportare veicoli elettrici all’estero. Il provvedimento, annunciato dal Ministero del Commercio, mira a garantire che soltanto i marchi in grado di offrire un servizio completo, che va dalla vendita alla manutenzione, possano accedere ai mercati internazionali.
La misura si inserisce in una più ampia strategia di razionalizzazione del settore automobilistico. Come abbiamo visto in questo nostro articolo, oggi in Cina esistono centinaia di costruttori, molti dei quali nati esclusivamente per inseguire i sussidi pubblici. Il mercato domestico è saturo, afflitto da una guerra dei prezzi senza precedenti e da una cronica sovrapproduzione. Per questo molte aziende hanno cercato sbocchi all’estero, alimentando un’espansione aggressiva in Europa.
Il nuovo regolamento però punta a “calmierare l’export” poiché selezionerà gli attori realmente in grado di competere a livello globale, puntando su pochi “campioni nazionali”, tra cui la Byd, che ha già annunciato importanti investimenti in Europa, con stabilimenti in Ungheria e Turchia.
Non si tratta solo di alzare l’asticella qualitativa, ma anche di arginare pratiche commerciali aggressive e poco trasparenti. Stop quindi agli operatori non autorizzati, ai rivenditori indipendenti e a chi esporta veicoli usati privi di rete di assistenza locale. L’obiettivo dichiarato è quello di evitare che la concorrenza sleale fatta di prezzi stracciati e zero servizi metta in ginocchio i costruttori regolari, anche cinesi, che invece hanno scelto di investire sul lungo periodo.

Il confronto tra i brand del Dragone e i marchi coreani e giapponesi sul fronte dell’assistenza cliente è impietoso. Ma nei prossimi mesi le cose potrebbero cambiare. Corea e Giappone hanno infatti costruito il loro successo anche grazie a politiche post-vendita puntuali e capillari.
Difficile dire se questa stretta normativa risolverà tutti i problemi. Ma di certo rappresenta un passo importante verso un’automobile “Made in China” più credibile. Oggi non basta solo costruire buone auto ma è necessario anche garantire un’esperienza d’uso all’altezza delle aspettative europee.
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