
Quella che segue è l’intervista ad Alessandro Grosso, pubblicata su L’Automobile e disponibile nel nuovo numero di ottobre (QUI tutti i dettagli).
I dati più recenti sull’andamento di Byd in Italia mostrano una crescita quattro volte superiore rispetto allo stesso mese del 2024. Con 1867 immatricolazioni, Byd raggiunge una quota di mercato dell’1,5%, conquistando il primo posto assoluto nel segmento delle elettriche e confermandosi leader anche nel cumulato annuo delle plug-in hybrid.
In maglietta e pantaloncini ha il passo del maratoneta. In giacca e cravatta corre con un’azienda capace di sprint da centometrista. Alessandro Grosso, 44 anni, una vita lavorativa in Fca-Stellantis e la passione per i 42,195 chilometri, è il country manager di Byd Italia, il colosso cinese dell’automotive dall’acronimo imperativo: Build Your Dreams, costruisci i tuoi sogni. Rimanendo poi nel campo degli slogan, si potrebbe dire che nel nostro Paese Byd non vende solo sogni ma solide realtà. In poco meno di 27 mesi, dall’esordio del giugno 2023 a oggi, la Casa di Shenzhen ha raggiunto una quota del 2% sul mercato italiano. E punta ancora più in alto grazie alla “europeizzazione” non solo del prodotto, ma anche di una parte dell’intero ciclo automotive.
Con una presenza poi decisamente importante in Italia: headquarter, rete di vendita, magazzini, aftersales, marketing. L’offerta di prodotto, tra auto completamente a batteria e vetture equipaggiate con il cosiddetto “superibrido”, copre già alcuni segmenti di mercato e si arricchirà di nuovi modelli, più il brand ipertecnologico del gruppo, Denza, già sbirciato dal pubblico italiano nell’ultima Milano Design Week, che esordirà tra fine anno e inizio 2026. Ma non finisce qui: Byd sta lavorando a una serie di punti di ricarica elettrica aperti a tutti e prevede di rendere operativo il flash charging da 1 megawatt.
“Sicuramente abbiamo conseguito un risultato importante con il 2% di quota a settembre e siamo a circa 2500 unità in termini di immatricolazioni totali. Abbiamo confermato la top 20, cosa che non è sempre scontata.
In più siamo oltre il 12% nei new energy vehicle. Quindi, se sommiamo le vetture ibride plug-in a quelle elettriche, siamo comunque il primo brand in graduatoria.
E la nostra Seal U DM-i è la phev più venduta ormai, con oltre 1800 vetture. L’altro obiettivo che Byd ha centrato in Italia è un parco circolante di almeno 20 mila unità, che è la soglia di visibilità minima per il brand. Ma stiamo crescendo anche in UK, dove la quota è del 3,6%, in Spagna, dove ha sfiorato il 3%, e in Germania dove saliamo oltre l’1,6%. Cosa mi aspetto per la fine dell’anno? Sicuramente che la velocità di uscita del quarto trimestre sia simile a quella della Spagna, quindi più vicina al 3% che al 2%”.

“Puntiamo molto sull’espansione organica della rete. In questo momento abbiamo 60 punti vendita attivi e arriveremo a 105 da qui a fine anno. E parlo di punti vendita con la nuova identity Byd, che fanno parte di un singolo edificio dedicato al nostro marchio o di un edificio importante, nel quale sono presenti altri brand mainstream. Il cliente respirerà dunque la nostra customer journey anche tramite la nostra customer identity”.
“L’after sales per noi è un pilastro importante, perché vogliamo evitare gli errori fatti in passato dai brand emergenti che hanno curato solo la parte vendite. Abbiamo aperto il magazzino nazionale ufficiale che ci permette di consegnare il 97% delle casistiche entro 24 ore al Centro-Nord ed entro 48 ore Centro-Sud e Isole”.
“Sì. In tutta Europa abbiamo bisogno non solo di elettrici, ma anche di DM-i, cioè di ibridi di bassa metratura. Avremo quindi i DM-i corretti nel cuore del mercato ed entro fine 2026 ogni modello Byd elettrico avrà la sua versione DM-i. Questo darà sicuramente spazio
alla crescita”.

“Il phev, chiamiamolo ‘old style’, ha spinto sul mercato una commistione di tecnologia tra termico ed elettrico in maniera sbagliata, facendo credere al consumatore di comprare una vettura ‘pseudo a batteria’ con basse emissioni, ma che nella realtà non aveva niente di elettrico e che senza ricarica andava solo a benzina. Ora, invece, stiamo parlando di una tecnologia completamente diversa. Il nostro ‘Dual Mode Intelligence’ permette di andare oltre i 100 chilometri in elettrico puro, ma in futuro si arriverà a un chilometraggio quasi simile a quello delle bev attuali. Ma soprattutto, il DM-i dà la possibilità di viaggiare in serie o in parallelo con un full hybrid, sempre utilizzando un range extender a seconda delle condizioni di guida. Questo meccanismo permette di avere sempre la trazione elettrica e una batteria che non si consuma mai, con una percorrenza tra i 18 e i 19 km con un litro che è degno del miglior diesel, grazie all’ottimizzazione tra peso e prestazioni e a una centralina intelligente. Ecco perché mi auguro che i decisori possano inserire anche le nuove plug-in nelle loro scelte per il futuro. Noi stiamo fortemente investendo in tecnologia in questo senso”.
“La nostra intenzione è che fosse di supporto a quella statale. E l’abbiamo fatta in combinazione con i concessionari: noi abbiamo messo il marketing, loro hanno messo il loro margine. Il risultato? Oltre 1000 leads al giorno. La nostra velocità si è triplicata e l’abbiamo visto nel 2% di quota. Ma lo vedremo anche nei prossimi mesi, perché comunque aprendo l’incentivo anche al DM-i riusciamo a gestire clientela più ampia”.
“Qui dobbiamo dividere le configurazioni, per evitare di fare confusione: abbiamo definito un piano articolato per sviluppare infrastrutture di ricarica che rispondano sia alle esigenze dei clienti residenziali sia a quelle del canale premium. Questo secondo punto comprende la ricarica ultraveloce flash charging da 1 mW (1000 kW, ndr), con la quale è possibile erogare fino a 400 km di autonomia in soli 5 minuti: la nostra tecnologia è stata presentata a Monaco e le prime vetture europee a beneficiarne saranno i modelli Denza, in arrivo tra fine anno e inizio 2026. Stiamo lavorando affinché ci siano i sistemi pronti, anche tramite nostra installazione sul territorio. L’altro argomento è invece la rete proprietaria in Italia: stiamo lavorando sia su una rete pseudo-proprietaria sia su una ricarica domestica, quindi wallbox più installazione, che permetta di superare tutta la burocrazia. Il primo step operativo è previsto entro fine anno, con l’installazione di un bel po’ di colonnine di ricarica, non posso dire ancora il numero esatto. Poi, contestualmente, si lavora a livello strategico all’estensione del progetto alle altre principali piazze europee per una rete proprietaria comune, su cui chi sta decidendo sta valutando anche eventuali joint venture con partner locali o acquisizioni.”
“No. Sono due gestioni differenti. Avranno poche commistioni fra loro. E, se ci saranno, sarà perché si tratterà di dealer premium o luxury. Comunque, le reti Denza avranno target alto spendente su modello tedesco, come Porsche, Lamborghini e così via”.
“In realtà, Denza entra nel mercato premium con tre caratteristiche, secondo me vincenti. Che sono il design, perché oggettivamente la Z9GT è all’avanguardia da questo punto di vista, e poi la sicurezza e la tecnologia, perché Denza è il manifesto ecologico dei nostri 60 mila brevetti e soprattutto esprime ricerca dei materiali e cura dei dettagli. Non entriamo invece di prepotenza nella parte performance, che peraltro alla vettura non manca, ma andiamo dove possiamo essere i migliori e non semplicemente tra i migliori”.

“Per la verità, di headquarter a Milano ne abbiamo tre: la sede di Byd Italia, quella del design europeo e il digital hub europeo. Il centro che si occupa di design è già operativo, ma arriveranno 50 designer da molti Paesi e sarà il punto di riferimento europeo. C’è poi la sede del digital hub: Daniele De Leonardis, il mio marketing director, è anche capo del digitale e ha portato l’headquarter a Milano con dieci specialisti, manager digitali europei che lavorano da qui per tutti i mercati. E poi abbiamo in ballo anche un altro paio di candidature per il Sud Europa, lato marketing e lato produzione di contenuti. Ecco perché l’Italia è importante. Ma vorrei sottolineare che la fabbrica ungherese (a Szeged, nel Sud-Est dell’Ungheria, ndr) è prossima all’apertura. Abbiamo anche annunciato il primo modello che verrà prodotto lì, che è la Dolphin Surf, quindi iniziamo dall’elettrico. E, non avendo la supply chain integrata di Byd China autoprodotta al 70%, ci sarà il lavoro per i fornitori di primo livello (tier 1) e secondo livello europei (tier 2). Ne abbiamo già selezionati 40 e si tratta di un’occasione importante anche per le aziende italiane di primo livello. Siamo ormai pronti a trasformarci da importatori a oem (original equipment manufacturer, cioè produttori o, meglio ancora, assemblatori, ndr) con tutte le conseguenze del caso.”
“Vediamola così: dall’entrata nel 2008, il genio degli investimenti ha portato a casa un ritorno di circa venti volte. A quel punto, o sei un pazzo a non vendere o fai il proprietario: non essendo evidentemente il proprietario, Buffett ha ceduto le quote. Nell’azionariato è stato rimpiazzato da altri investitori americani di primo livello. Per quanto riguarda invece la guerra dei prezzi in Cina, io parto da un presupposto: se sei il numero uno con il 35% sulla quota totale, visti i player che ci sono, da lì puoi solo scendere. Byd allora è stata più veloce degli altri a capire che non si può diventare il primo player mondiale facendo leva solo sul mercato domestico. C’è quindi un processo di ribilanciamento dei volumi Cina-resto del mondo, che è partito dai principali mercati: dal Sud America, dove siamo market leader, all’Asia Centrale – Uzbekistan, Thailandia e così via – ed è arrivato in Europa, regionalizzando il Vecchio Continente”.
“No, ma intanto c’è una regola che va spiegata. Il nome dei modelli Byd, in Cina o Paesi di volume, si divide in due sottocategorie. La Dynasty, legata alle famiglie imperiali cinesi, quindi Atto 2, Atto 3, Tang, Ann e compagnia, e la versione Seal che è quella un po’ più sportiva, legata all’Oceano. Però, stiamo lavorando sulla normalizzazione di questi nomi, in modo tale che le suv si chiamino tutte allo stesso modo e, possibilmente, con un numero in grado di differenziarle. Cerchiamo anche di fare in modo che le denominazioni siano un po’ più pronunciabili. Dolphin Surf è stato il primo esercizio europeo in questo senso, con due termini che davvero tutti sono in grado di comprendere e pronunciare. Ripeto, è un tema su cui stiamo lavorando. E questo fa parte del processo di europeizzazione e di regionalizzazione del brand che è iniziato qualche mese fa”.
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