
Osamu Suzuki, storico dirigente di Suzuki Motor, è morto il giorno di Natale all’età di 94 anni per un linfoma. Sotto la sua guida decennale, l’azienda si affermò come uno dei protagonisti globali dell’industria automobilistica. La sua scomparsa segna la fine di un’era per l’automotive giapponese.
Nato Osamu Matsuda nel 1930, Suzuki assunse il cognome della moglie in seguito a un’adozione familiare, pratica comune in Giappone per preservare i nomi di famiglie senza eredi maschi. Entrato in Suzuki Motor nel 1958, un’azienda fondata dal nonno della moglie, intraprese un percorso che lo portò a diventare presidente nel 1978.
Durante la sua carriera, fu protagonista di scelte audaci, come l’alleanza con Toyota negli anni ’70 per rispondere alle nuove normative sulle emissioni, e il lancio di modelli iconici come la Alto nel 1979. La sua visione strategica si estese anche all’estero, in particolare in India, dove Suzuki Motor strinse un’alleanza decisiva con Maruti. La collaborazione portò nel 1983 al lancio della Maruti 800, che divenne un’auto simbolo e contribuì a trasformare l’India in uno dei principali mercati automobilistici al mondo.
Osamu Suzuki incarnava un’etica aziendale improntata all’efficienza, alla parsimonia e alla democratizzazione della mobilità. Dopo oltre cinque decenni ai vertici, lasciò la carica di CEO nel 2016, mantenendo un ruolo attivo come presidente e poi come consigliere. Fino all’ultimo, rimase una figura chiave nell’industria, influenzando profondamente lo sviluppo delle kei car e dell’automotive globale.
Osamu Suzuki sarà ricordato come un leader carismatico e innovativo, capace di trasformare un’azienda familiare in un gigante mondiale e di lasciare un’eredità duratura anche fuori dai confini del Giappone.
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