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Cina e crisi produttiva: rischio chiusura per otto stabilimenti europei

di Emiliano Ragoni - 13/10/2025

I costruttori automobilistici europei stanno attraversando un periodo di crisi. La Cina e il suo export selvaggio hanno contribuito a mettere in crisi un’industria che aveva già dato dei segni di cedimento. La domanda di auto in calo e la transizione energetica più lenta del previsto determineranno dei grossi cambiamenti industriali, che si vedranno nei prossimi mesi.

Auto: in Europa sono a rischio otto stabilimenti

A fotografare al meglio il delicato momento è una recente analisi della società di consulenza AlixPartners. Secondo il report degli analisti l’industria automobilistica europea si trova ad affrontare una fase critica di riconfigurazione che potrebbe portare alla chiusura di fino a otto stabilimenti.

Alla base di questa potenziale emorragia produttiva ci sono due fattori chiave. Il calo della domanda di auto e l’ingresso di nuovi competitor. In merito a quest’ultimo fattore si sta chiaramente parlando dei costruttori di automobili che provengono dalla Cina e, nello specifico, Byd, il Gruppo Chery e la Saic (proprietaria del marchio MG), che stanno guadagnando rapidamente quote di mercato nel Vecchio Continente.

La Cina e la sottoproduzione “mordono” gli impianti europei

Nel complesso, gli impianti europei stanno operando ben al di sotto del loro potenziale. Il tasso medio di utilizzo della capacità produttiva si attesta attorno al 55%, con numerosi siti che non raggiungono nemmeno il 75%, una soglia che secondo AlixPartners mette seriamente a rischio la redditività aziendale. Secondo il report, il Gruppo più esposto sarebbe Stellantis, con una capacità produttiva utilizzata di appena il 45% per le sue attività europee, comprese Alfa Romeo e Fiat.

L’emorragia produttiva di Stellantis è particolarmente evidente in Italia, Paese che nel primo semestre del 2025 ha registrato un calo del 26,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con un totale di 221.885 tra auto e veicoli commerciali. Come misura, il Gruppo automobilistico lo scorso mese ha fermato la produzione della Fiat Panda e dell’Alfa Romeo Tonale.

Anche la situazione della Volkswagen non è rosea: il costruttore tedesco ha fermato per una settimana il sito di Zwickau.

Stabilimento Pomigliano

Una crisi che rischia di diventare irreversibile

“Nei prossimi anni i costruttori europei perderanno tra uno e due milioni di veicoli a favore dei marchi cinesi”, ha dichiarato Fabian Piontek, managing director di AlixPartners in Germania. “Solo nel 2025, ci aspettiamo che i brand cinesi raggiungano una quota di mercato del 5% in Europa”.

Il mercato europeo è debole. Le vendite sono ancora ben lontane dai livelli pre-pandemia, con una timida crescita dello 0,9% nel 2024, secondo i dati dell’Associazione dei Costruttori Europei. I marchi cinesi come Byd e MG potrebbero arrivare a detenere il 10% del mercato entro il 2030, aumentando ulteriormente la pressione su una capacità produttiva sovradimensionata.

Quanto costa la dismissione di una fabbrica?

Chiudere uno stabilimento, tuttavia, non è una decisione semplice né rapida. AlixPartners stima che la dismissione di un sito con circa 10.000 dipendenti possa costare fino a 1,5 miliardi di euro e richiedere da uno a tre anni, a causa delle lunghe negoziazioni con le rappresentanze sindacali.

In termini di redditività, secondo i consulenti, uno stabilimento è sostenibile solo se produce almeno 250.000 veicoli all’anno. Se i marchi cinesi raggiungeranno quota 2 milioni di unità annue in Europa entro il 2030 l’industria europea si troverà con otto impianti in eccesso.

Chiudere fabbriche in Europa, però, resta una sfida titanica. In Germania, per esempio, i rappresentanti dei lavoratori hanno voce in capitolo nei consigli di sorveglianza e possono bloccare le decisioni di dismissione. Non a caso, la Volkswagen ha impiegato mesi per trovare un’intesa con i sindacati, rinunciando infine alla chiusura del primo impianto tedesco e optando per una riduzione della capacità e 35.000 uscite volontarie.

“Chiudere uno stabilimento è un processo lungo e complesso”, ha dichiarato Tom Gellrich, Ceo di AlixPartners. “Serve una narrazione chiara e forte per giustificare che quella è l’unica via percorribile sul piano economico”.

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