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L’intervista a Pippo Baudo rilasciata a L’Automobile nel 1990

di Redazione - 16/08/2025

Credit: Alamy

Lo storico conduttore televisivo Pippo Baudo si è spento all’età di 89 anni, lasciando un’eredità indelebile nel mondo della televisione. Questa intervista inedita di Carla Consalvi, pubblicata nel numero 448 de L’Automobile (gennaio 1990), restituisce un ritratto autentico del suo rapporto con l’auto, che oggi assume un valore ancor più intimo e simbolico nell’ultimo saluto al “re della tv”.

Qui sotto, volendo, trovate i tre link che vi portano al testo integrale.

Fonte: Biblioteca Digitale ACI

Pippo Baudo – intervista pagina 1

Pippo Baudo – intervista pagina 2

Pippo Baudo – intervista pagina 3

Intervista di Carla Consalvi a Pippo Baudo (L’Automobile, n. 448 – gennaio 1990)

«Io dell’auto non posso fare a meno. L’auto è ancora un grande strumento di libertà personale, con il quale bisogna saper essere tolleranti. Non si può parlar male dell’auto solo quando ci fa comodo! Ma non vorrei confondere le idee. Non sono certo un fissato dell’auto, anche se ne ho più d’una. Non mi piace correre, per esempio… Con tutte le corse che si fanno nella vita! Proprio per questa mania di correre a volte prendevo in giro Mike Bongiorno che invece è fissato per le Ferrari. E per provocarlo gli chiedevo: “Ma tu quanto ci metti per andare da Milano a Roma?”. E lui tutto soddisfatto: “Quattro ore!”. E allora io lo prendevo in giro: “Ma sei matto. Così tanto!?…”. Io non ho mai fatto da casello a casello con il cronometro. Non ha senso».

Quali caratteristiche deve avere un’auto per piacerle?

«Con le macchine oggi ho un rapporto più estetico, più maturo, anche. Da qualche anno non guido più in città, anche perché sono notoriamente un distratto. Ho un segretario-autista che mi fa risparmiare molto tempo. Sto attento alla linea di una macchina che deve essere solida, comoda, sicura. E poi diciamoci la verità. Ho una statura che mi condiziona, non è che riesca ad usare tutte le auto. Quando sento dire che la Ferrari è una macchina da sogno, bellissima, sarà anche vero, ma per me è soprattutto scomodissima. E anche le macchine schiacciate, aerodinamiche saranno affascinanti, ma con le gambe che mi ritrovo finisco sempre con il volante in bocca!».

Quali auto usa?

«Ho una Peugeot 205 che guido personalmente, poi in campagna ho una vecchia Mini Minor che è un’altra tortura sempre per via dell’altezza. A Catania ho un Maggiolone di età indefinita e, per i viaggi, una Mercedes. Recentemente abbiamo acquistato una Thema».

Il primo amore, si dice, non si scorda mai. Lei come la ricorda, la sua prima macchina?

«La primissima che ricordo non era mia, ma della mia famiglia. Era una Balilla 4 marce. Mio padre aveva un rapporto difficile con questa macchina. Mi ricordo ancora un episodio: per andare dal paese di mio padre a quello di mia nonna, a pochi chilometri di distanza, avevamo otto gomme sul bagagliaio. Sa, le strade di una volta… La cosa comica è che, malgrado le quattro gomme di scorta, una volta le abbiamo usate tutte e siamo arrivati a casa con i cerchioni. Un dramma!».

A proposito di pseudo-drammi, ho sentito parlare di un incidente curioso che le è capitato a bordo di una Fiat 500. Cosa era successo?

«Questa è una storia buffa! Avevo appena acquistato la mia prima macchina, una 500 da pagare in 36 rate. Siccome la pedaliera era angusta, io ci stavo scomodissimo! Appena mi sono seduto, mi è scivolato il piede e sono andato a sbattere contro una sbarra di accesso proprio dentro il salone della Fiat. Il direttore della filiale di allora si commosse tanto che me la fece riparare a spese loro, perché il mio era il primo caso di uno che era andato a sbattere dentro la Fiat prima ancora di ritirare la macchina».

Ha mai usato l’auto per conquistare una donna?

«Che insinuazione! Quando io ero ragazzo, la macchina era l’alcova! Chi ce l’aveva valeva più degli altri, perché allora l’appartamentino non ce l’aveva nessuno, in albergo non ci facevano entrare, e comunque le ragazze non ci sarebbero venute. Chi aveva la macchina aveva quattro pareti. E quindi ce la prestavamo: “Ci ho la ragazza, prestami la macchina”. Funzionava così. Si conquistavano le ragazze senza avere l’aria di farlo. Era tutto più genuino».

Cosa ne pensa dei 130 sull’autostrada?

«Sono d’accordissimo! Perché il limite di 110 era una grande ipocrisia, oltre che un pericolo nelle lunghe distanze perché la gente si stancava di più. Nessuno lo rispettava… è stata una forma di demagogia, di populismo spinto al massimo».

Mi hanno raccontato che lei quando può segue i Gran Premi in televisione, è vero? 

«Sì. La Formula Uno è un grande spettacolo, drammatico anche. Un po’ come la corrida. La F1 è ‘la competizione’, il luogo in cui si fondono capacità, tecnologie e fortuna.  Dei piloti di oggi, pur stimando Prost e augurandogli tutte le vittorie con la Ferrari,  mi piace Senna: genio e sregolatezza. Un grandissimo pilota. Anche Mansell è un grande, con quel pizzico di follia che i veri campioni debbono avere. Ma il Senna che è in testa e potrebbe benissimo rallentare tanto è solo, e invece corre e sfascia la macchina… Beh, questo fa parte di un grande personaggio. Veloce… per istinto».

Chissà quanti momenti belli, divertenti o anche difficili della sua vita li ha passati in macchina?

«Tanti. Mi vengono in mente le serate, gli spettacoli in giro per l’Italia, tanti spostamenti fatti di notte con la stanchezza e il sonno e gli applausi ancora nelle orecchie.

Negli anni ’70 acquistai una Porsche Targa. Bella macchina ma impegnativa da guidare. In curva non puoi sbagliare. Una notte di nebbia tornavo da Reggio Emilia. Non andavo a più di 50 all’ora. Sono andato fuori strada. Forse per un colpo di sonno. Mi sono ritrovato sul ciglio di un burrone: due ruote di qua, due ruote di là. Sono riuscito ad uscire dalla macchina. Ma ho i brividi ancora adesso».

«Quand’ero ragazzino, nel mio paese c’era un’auto a noleggio con degli strapuntini, che faceva la spola tra Militello e Catania. Era un divertimento per noi: non ho mai più visto una macchina a fisarmonica come quella. Le correvamo dietro per contare i passeggeri.

E poi con le macchine quante volte sono corso incontro a un amore e ci ho vissuto tante ansie, anche professionali. A volte i viaggi in macchina aiutano a pensare».

In che modo l’auto è entrata nel suo lavoro? Ha mai fatto spot pubblicitari o scritto canzoni su questo tema? 

«Ho fatto lo spot della Y10, quello che diceva “Piace alla gente che piace!”. Con il maestro Pippo Caruso ho scritto tanto tempo fa una canzone, Isotta. La cantava Pippo Franco ed era ispirata alla Isotta Fraschini. Recentemente, nel programma Uno su Cento, abbiamo dedicato alla Ferrari un tema originale, “La Rossa”, cantata davanti a un esemplare magnifico di F40».

Ancora una volta la Ferrari. Lei la critica, dice che è scomoda, però…

«Però la penso sempre, vuole dire? No, non ho il sogno della Ferrari nel cassetto! Anche perché di marchi prestigiosi l’Italia è piena: Alfa, Lancia… Io per esempio ho sempre ammirato la Maserati. Ma intendiamoci: io una Ferrari la vorrei avere. Però mi dico: che ci faccio? Dove la parcheggio? E poi ci sto scomodo: ne dovrebbero costruire una proprio per me. Sarebbe una sfida».

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