
Testo di Mattia Eccheli
La riduzione dal 25 al 10% dei dazi Usa sulle auto importate dal Regno Unito ha tranquillizzato quasi solo la SMMT, l’organizzazione che rappresenta la filiera d’Oltremanica. Mentre hanno preoccupato se non irritato quella nazionale, che Donald Trump vorrebbe “proteggere” costringendola peraltro a tornare a produrre negli Stati Uniti.
“Siamo delusi dal fatto che il governo abbia dato la priorità al Regno Unito piuttosto che ai nostri partner nordamericani”, ha lamentato Matt Blunt, presidente dell’American Automotive Policy Council. “Speriamo – ha aggiunto – che questo accesso privilegiato per i veicoli britannici rispetto a quelli nordamericani non costituisca un precedente in vista di future trattative con concorrenti asiatici e europei”.
Un timore che considerate le ultime uscite dell’inquilino della Casa Bianca sembrerebbe infondato, avendo soprattutto presente la sua ossessione per le auto premium tedesche testimoniata anche dall’ex cancelliera Angela Merkel nel suo libro “Libertà”. In ogni caso, dal 2022 in poi, il mercato Usa non ha mai assorbito più di 100.000 macchine di produzione britannica: il balzello del 10% si applica non a caso solo alle prime centomila auto in arrivo dal Regno Unito.
Automotive News cita Chris Feuell, responsabile dei marchi Chrysler e Alfa Romeo, secondo la quale “la vera domanda è quanto velocemente riusciremo a trattare con il governo nuove condizioni che siano più convenienti per Canada e Messico. Molti di noi (si riferisce agli altri colossi di Detroit, ossia General Motors e Ford, ndr) hanno sia stabilimenti di assemblaggio sia fornitori in queste nazioni”. Allo stato attuale i dazi sono ancora del 25%, più del doppio di quelli applicati al Regno Unito, seppur su un numero contingentato di veicoli che rappresenta una quota irrilevante in un mercato di 15,9 milioni, ossia il consuntivo del 2024.
Su un’auto del valore di 50.000 dollari, su un veicolo prodotto nel Regno Unito devono venire versate imposte per 5.000 dollari, indipendentemente dalla provenienza della componentistica, mentre per non superare questo importo un produttore statunitense deve disporre di almeno il 60% di componentistica nazionale.
Almeno sulla base dei dati della Bernstein Analystics circa la provenienza dei pezzi necessari all’assemblaggio, Ford si fermerebbe al 21% (84% considerando anche Canada e Messico), Stellantis raggiungerebbe il 31% (71% con le nazioni vicine) e General Motors il 27% (56% di provenienza nordamericana, come Honda, che però è giapponese). “Abbiamo bisogno di una catena di fornitura solida e sana in Nord America”, ha sollecitato Collin Shaw, presidente di MEMA Original Equipment Suppliers, l’associazione statunitense dei fornitori di componenti. La richiesta è quella di una veloce revisione dell’intesa USMCA tra Usa, Messico e Canada per salvaguardare il ruolo dei costruttori americani e anche l’occupazione, oltre che i margini operativi.
Fonti: automobilwoche; SMMT; americanautomakers
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