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Dazi USA sulle auto importate: quali sono le conseguenze?

di Marco Triulzi - 27/03/2025

“È l’inizio della liberazione dell’America” ha proclamato ieri Donald Trump durante il discorso in cui ha annunciato i nuovi dazi del 25% su tutte le auto importate negli Stati Uniti.  “Liberazione” dalle ingerenze dei costruttori stranieri, rei di non produrre abbastanza auto negli Stati Uniti. Così dal 2 aprile gli USA alzeranno le barriere doganali portando il mondo in una nuova guerra commerciale su larga scala.

Aumento dei costi e i paesi più colpiti dai dazi

Credit: Bloomberg

Misure protezionistiche di questa portata colpiranno in primis la stessa filiera produttiva statunitense, con l’innalzamento repentino dei costi, una probabile diminuzione della domanda e uno squilibrio dell’intero sistema industriale nazionale.

Secondo le prime stime degli analisti, i dazi al 25% potrebbero tradursi in un aumento dei prezzi medi di circa 3.000 dollari per le vetture prodotte negli Stati Uniti e fino a 6.000 dollari per quelle fabbricate in Canada o Messico, stando a quanto dichiarato da Cox Automotive. Se i dazi saranno pienamente implementati, entro metà aprile la produzione di veicoli in Nord America potrebbe subire un calo del 30%, pari a circa 20.000 veicoli in meno al giorno.

Il contraccolpo potrebbe farsi sentire in misura diversa a seconda dei paesi esportatori. Nel 2024, il principale fornitore di auto agli Stati Uniti è stato il Messico, con un valore di 78,5 miliardi di dollari e quasi 3 milioni di veicoli (2.961.598). Seguono Giappone (39,7 miliardi di dollari e 1.377.086 veicoli), Corea del Sud (36,6 miliardi e 1.535.616 veicoli), Canada (31,2 miliardi e 1.065.465 veicoli) e Germania (24,8 miliardi e 446.566 veicoli). Questi numeri mostrano chiaramente come l’impatto dei dazi si riverbererà in modo differenziato tra i vari attori internazionali.

L’accordo USMCA

Anno 2020: Trump firma con Canada e Messico il nuovo accordo di libero scambio USMCA

Proprio con il Messico, primo fornitore di auto verso gli Stati Uniti, e con il Canada, dove ha sede il grande distretto produttivo dell’Ontario, vige un accordo di libero scambio, originariamente NAFTA, poi diventato nel 2020 USMCA (voluto dalla precedente amministrazione Trump) . Questo trattato permette di abbattere i costi produttivi derivanti dai dazi, considerando che molte componenti attraversano i confini più volte prima di arrivare all’assemblaggio finale.

Nello specifico, l’USMCA prevede l’esenzione dai dazi per i veicoli che rispettano precise regole di origine: almeno il 75% del contenuto deve provenire da Stati Uniti, Canada o Messico; inoltre, il 40% delle componenti principali e il 70% di acciaio e alluminio devono essere prodotti nell’area, accompagnati da criteri salariali minimi.

Donald Trump ha dichiarato ieri ai giornalisti che le componenti automobilistiche conformi a tali requisiti rimarranno esenti dai nuovi dazi fino a quando non sarà definito un meccanismo per tassare gli eventuali contenuti non statunitensi. Il presidente ha promesso “controlli molto rigorosi”.

Secondo S&P Global Mobility, alcune case come GM, Stellantis e Toyota sono più pronte a rispettare queste regole grazie alla produzione localizzata di motori e trasmissioni, mentre altri produttori, specialmente tedeschi come Bmw e Mercedes-Benz che dipendono da componenti europei, rischiano di non essere conformi.

L’allarme dell’industria europea

Sede del Parlamento europeo a Strasburgo

Dal Vecchio Continente arrivano le prime reazioni alle parole di Trump. La European Automobile Manufacturers’ Association (ACEA) ha espresso profonda preoccupazione definendo i dazi un rischio per la trasformazione del comparto e per l’innalzamento della competizione internazionale. “I costruttori europei investono da decenni negli Stati Uniti, creando occupazione, contribuendo alla crescita economica delle comunità locali e generando ingenti entrate fiscali per il governo USA”, ha spiegato la direttrice generale di ACEA, Sigrid de Vries.

Secondo de Vries, questi dazi non penalizzeranno soltanto le importazioni, con ripercussioni dirette sui consumatori americani, ma colpiranno anche i costruttori europei che producono vetture negli Stati Uniti per esportarle all’estero. “Tra il 50% e il 60% di quei veicoli è destinato ai mercati internazionali, offrendo un contributo positivo alla bilancia commerciale statunitense” ha aggiunto. Un esempio emblematico è quello della Bmw X5, prodotta in California del Sud: la suv bavarese verrebbe colpita dai dazi poiché alcune sue componenti, come il motore, provengono dall’Europa. Inoltre, trattandosi di un modello destinato al mercato globale, potrebbe subire ulteriori tassazioni. Se, ad esempio, il veicolo esportato dagli USA dovesse arrivare in Cina, subirebbe i controdazi del Celeste Impero sulle importazioni da Washington.

Insomma capite bene come in un’economia globalizzata come quella attuale, misure protezionistiche di questo tipo rischiano di generare serie conseguenze, sia per i produttori sia per l’equilibrio economico internazionale.

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