
Testo di Mattia Eccheli
Nella manovra “a tenaglia” dei costruttori europei a difesa dell’industria dell’auto, il numero uno di Seat e Cupra, Wayne Griffiths, evoca tagli al personale senza interventi della Commissione Europea sui dazi alle importazioni di auto elettriche cinesi. La disputa è sulla Cupra Tavascan (immagine sopra), il Suv a zero emissioni che il marchio spagnolo produce nello stabilimento Volkswagen della Repubblica Popolare di Anhui nell’ambito della joint venture con la JAC Motors.
“Cupra – ha spiegato all’agenzia Reuters il manager britannico con cittadinanza anche tedesca – costituisce la nostra svolta ed è il marchio che ha reso redditizia la nostra società. Se Cupra è a rischio, allora anche Seat è a rischio”. Griffiths aveva già attaccato i dazi alla vigilia della loro introduzione, rivendicando la “europeità” della vettura soggetta all’imposizione addizionale del 20,7% che si comma al 10% iniziale.
Un balzello eccessivo per riuscire a garantire la marginalità che si intreccia con la necessità di ridurre le emissioni di CO2 per non incorrere nelle multe che scatteranno a fine 2025 in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, peraltro almeno finora più restrittivi, anche se resta da capire cosa cambierà con il piano annunciato per il prossimo 5 marzo.
Il ragionamento del Ceo dei marchi spagnoli del gruppo Volkswagen è semplice. Il dazio applicato all’elettrica da circa 52.000 euro ha impedito che Seat SA, la capofila che controlla i due brand catalani Seat e Cupra, centrasse gli obiettivi finanziari nel 2024 e, riferisce la Reuters, costerà ancora centinaia di milioni quest’anno con il rischio di venire esclusa dalla gamma e di far pertanto aumentare le emissioni medie della flotta di nuova immatricolazione. “Non abbiamo molto tempo. È necessario che si trovi una soluzione entro il primo trimestre”, avverte Griffiths, preoccupato per le soglie alle CO2. “Non è un problema che si possa risolvere da un giorno all’altro – argomenta – e allora non ci resta che ridurre la potenza del motore a combustione e iniziare a licenziare le persone”. “Questo è ciò che accadrà se non riusciamo a trovare una soluzione”, conclude. A rischio ci sarebbero circa 1.500 posti in Spagna.
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