
La Porsche 356 protagonista della copertina del nuovo numero dell’automobileclassica è una testimone importante della storia di Porsche in Italia. Mario Mordacci, il primo importatore di Volkswagen nel nostro paese, l’acquistò nel 1953. Ma non la vendette a qualche facoltoso cliente. Passò di mano a Gerhard Richard Gumpert, che rivelò l’attività di Mordacci e fondò l’Autogerma, che fu ricosciuta da Volkswagen come sua rappresentante ufficiale in Italia. La 356 azzurra divenne così a tutti gli effetti un’auto “del parco stampa” come la chiameremmo oggi. Ma non andiamo oltre nel racconto. La storia completa la trovate nell’articolo scritto dal nostro Carlo di Giusto.
Cogliamo l’occasione per fare una breve digressione sulle origini della Porsche 356, un’auto che segna anche il punto di partenza della storia di Porsche come costruttore di automobili. Com’è noto, Porsche non nacque come casa automobilistica, ma come uno studio di progettazione che collaborava con aziende tedesche come Auto Union e Volkswagen. Per la prima, Ferdinand Porsche sviluppò auto da corsa tecnologicamente avanzate che, negli anni Trenta, diedero del filo da torcere persino alle Alfa Romeo nei Gran Premi. Per Volkswagen, invece, progettò l’auto del popolo richiesta da Hitler, il celebre Maggiolino, la cui produzione prese forma nella neonata fabbrica di Wolfsburg.
Porsche usò il progetto del Maggiolino come base per la Type 64, il primo prototipo a portare il suo nome. L’idea iniziale era di avviare una produzione di questa vettura, ma Volkswagen rifiutò il progetto. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Ferdinand Porsche dovette accantonare i suoi lavori legati alla progettazione di un’auto sportiva, dedicandosi invece alla produzione di mezzi militari per il regime nazista. Nel 1944, a causa dei bombardamenti alleati su Stoccarda, lo studio di progettazione Porsche fu trasferito in Austria, a Gmünd, in Carinzia.
Fu proprio lì, in quella che era una vecchia segheria, che Ferry Porsche, figlio di Ferdinand, riprese in mano in fogli di lavoro del padre (nel 1945 Ferndinand Porsche fu fatto prigioniero dai francesi con l’accusa di collaborazionismo e restò dietro le sbarre per quasi due anni) e iniziò a lavorare al progetto della 356. Il numero 356 corrispondeva al codice di progetto dello studio Porsche. Nel 1947 nacque la prima 356, denominata 356/1-001, una versione cabrio con telaio tubolare ispirato alla Type 64 e motore centrale. Tuttavia, questa vettura non era ancora adatta alla produzione di serie. Con la 356/2 si decise di adottare un telaio a piattaforma e il motore posteriore, una scelta più economica che permetteva anche di guadagnare spazio interno, configurando l’auto come una 2+2. Questa disposizione, con il motore boxer posteriore, è diventata un tratto distintivo delle sportive di Stoccarda, ripresa anche sulla 911.
La 356/2 fu presentata al pubblico nel 1949, in occasione del Salone di Ginevra, presso lo stand Volkswagen. Porsche poté sfruttare anche la rete di assistenza della casa di Wolfsburg e utilizzare pezzi di ricambio per la 356 che, ricordiamo, in parte deriva dalla Maggiolino. Le richieste per le 356 iniziarono ad aumentare. E lo spazio della segheria di Gmünd non era più sufficiente a soddisfare una produzione industriale. Così nel 1949, Porsche siglò un accordo con la Carrozzeria Reutter di Stoccarda per aumentare la produzione. Nel 1952, finalmente, Porsche poté tornare a Stoccarda, recuperando gli spazi dell’officina e costruendo la nuova fabbrica di Zuffenhausen, dove tuttora ha sede la casa automobilistica.
Ed è proprio da queste linee di montaggio che uscì la Porsche 356 pre-A 1500 azzurra, con motore da 1.500 cc e 55 cavalli, acquistata da Mario Mordacci nel 1953 per portarla in Italia.

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