
Testo di Valerio Boni
Entrare al Museo Mille Miglia oggi significa non soltanto ripercorrere la storia della corsa più bella del mondo, ma anche sbirciare dietro le quinte di quel lavoro paziente che permette alle vetture esposte di essere vive, perfette, pronte a scendere in strada in qualsiasi momento. È questo lo spirito della nuova mostra permanente dedicata all’arte del restauro, ospitata all’interno del complesso di Sant’Eufemia e ispirata alla Carta dei Principi del Restauro, della Conservazione e della Tutela dell’Automobile messa a punto da ACI Storico insieme a un gruppo di esperti del settore.
Un documento che, per la prima volta, fissa criteri chiari: rispetto dell’autenticità, reversibilità degli interventi, attenzione alla storia del veicolo, consapevolezza del suo valore culturale oltre che economico. Non un semplice vademecum tecnico, ma una sorta di “costituzione” del restauro, che la mostra bresciana traduce in un linguaggio semplice, pensato soprattutto per le scuole e per chi, domani, potrebbe scegliere di fare di questo mestiere la propria professione.
Alla presentazione hanno preso parte il presidente del Museo Mille Miglia, Giuseppe Ambrosi, e la direttrice Maria Bussolati, affiancati da Alessandra Zinno, Direttore Centrale ACI e responsabile delle attività di ACI Storico. A ideare il percorso è stata Barbara Riolfo, anima del Classic Center, che ha coinvolto il marito e la figlia in un progetto familiare tanto concreto quanto visionario: lavorare sulle auto del passato guardando al futuro, con l’obiettivo dichiarato di far nascere nuovi restauratori.
Perché il messaggio è chiaro: tutte le vetture del Museo sono oggi in condizioni impeccabili, perfettamente funzionanti, ma tra vent’anni molti degli specialisti che se ne prendono cura avranno smesso l’attività. Se non si preparano da subito nuove generazioni di artigiani colti, capaci di maneggiare la lima e il computer, la fiamma ossidrica e l’archivio digitale, questo patrimonio rischia di diventare fragile. La mostra e il museo diventano così un tramite per comunicare alle nuove generazioni che dietro una bella auto d’epoca non c’è solo nostalgia, ma lavoro, studio, responsabilità.
Il percorso espositivo è volutamente semplice, quasi didattico, ma ricco di spunti intelligenti. Non troviamo pannelli fitti di testo o spiegazioni troppo tecniche: al contrario, ogni area è pensata per stimolare l’interazione attraverso il tatto e l’olfatto. Si procede per “stazioni”, che già nei titoli raccontano una storia: “La documentazione del restauro” introduce alla fase in cui si studiano fotografie, manuali, schede d’epoca e si ricostruisce la vita della vettura, perché nessun restauro serio può prescindere da una solida base documentale.

Nella sezione “I materiali nobili della selleria” i protagonisti sono pellami, cuciture, imbottiture: i visitatori, e in particolare i ragazzi, possono toccare con mano la differenza tra un materiale moderno e uno coevo alla vettura, annusare l’odore del cuoio, capire quanto lavoro richieda rifare un sedile rispettando i disegni originali. La zona “I materiali in natura” porta invece l’attenzione su legni, fibre vegetali, gomme naturali: tutti elementi che, prima di arrivare in officina, nascono in un bosco, in una piantagione, in una cava. Un modo per ricordare che la sostenibilità passa anche dal saper riparare e conservare, non solo dal produrre il nuovo.
Con “I materiali nobili della carrozzeria” si entra nel regno della lamiera, dello stagno, delle vernici. Il visitatore può seguire con lo sguardo, e in parte con le mani, il percorso che trasforma una superficie rovinata in una carrozzeria liscia e lucida, senza cancellare le tracce della sua storia. Infine le aree “Lo studio e la ricerca storica” e “La ricerca scientifica” collegano il restauro alle discipline umanistiche e a quelle scientifiche: da un lato lo studio delle fonti, delle corse, dei piloti; dall’altro analisi dei materiali, tecniche di laboratorio, indagini non invasive. È qui che si capisce come un bravo restauratore debba essere, in parte, storico, archivista, chimico e ingegnere.

La mostra è pensata come un organismo vivo. Quella che i visitatori trovano oggi è solo la prima versione di un progetto in continua evoluzione: accanto alle stazioni già allestite ne nasceranno altre, dedicate ad esempio all’elettrica e all’ibrido storico, ai combustibili alternativi, ai nuovi metodi di diagnosi digitale. L’idea è che ogni generazione di studenti possa trovare qualcosa di nuovo, e che il museo diventi un laboratorio permanente dove si sperimentano linguaggi e strumenti per raccontare la cultura dell’automobile.
Accanto al percorso museale, il progetto prevede anche la nascita di borse di studio dedicate ai giovani che vorranno intraprendere la professione. Saranno pensate per sostenere corsi di formazione specifici sul restauro di auto d’epoca, stage presso officine qualificate, percorsi di alternanza scuola–lavoro. Un investimento sulla formazione che va oltre l’aspetto tecnico: avvicina i ragazzi alla storia, alla manualità, al lavoro di squadra, al rispetto per gli oggetti che raccontano un’epoca.
In fondo, il filo rosso della mostra è proprio questo: spiegare che restaurare un’auto non significa riportarla a un’ipotetica “perfezione” da concorso, ma accompagnarla nel tempo senza tradirne l’anima. È lo stesso principio che guida la Carta del Restauro di ACI Storico e che il Museo Mille Miglia ha scelto di trasformare in esperienza concreta, mettendo in dialogo vetture leggendarie e mani curiose di bambini, maestri di oggi e “artisti del restauro” di domani. Un dialogo che, se saprà accendere qualche vocazione, garantirà a queste automobili un futuro lungo… almeno altre mille miglia.

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