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Mercedes-Benz 180 D, per una 1000 Miglia a gasolio

di Redazione - 07/12/2024

Mercedes-Benz 180 D, per una 1000 Miglia a gasolio

Testo Marco Visani, fotografie Leonardo Perugini

Fu l’anno, memorabile, in cui vinse Stirling Moss. Era il 1955. Con quella 300 SL la Mercedes-Benz si aggiudicò la sua seconda e ultima 1000 Miglia, dopo l’impresa di Rudolf Caracciola che risaliva a ventiquattro anni prima. Ma fu anche l’anno in cui un’assai meno memorabile impresa, ai più dimenticata, interessò nuovamente la stella a tre punte.

Nel 1955 quelli della Freccia Rossa s’inventarono una categoria diversa, insolita, talmente sperimentale che non venne più riproposta nelle due edizioni successive: la classe riservata ai diesel. E badate bene: stiamo parlando di un’epoca in cui diesel significava trattori, camion, autobus. La prova? Solo due costruttori in Europa ebbero l’idea di mettere in produzione un’automobile mossa (senza fretta) da un motore a gasolio: la Mercedes-Benz e la Fiat, sulla 1400 (alla quale venne prestato il motore della Campagnola).

Ragione tedesca

A Stoccarda il diesel automobilistico non era una novità: lo aveva applicato per la prima volta nel 1936 sulla 260 D, facendosi apprezzare soprattutto dai conducenti di vetture di piazza. Ed è evidente che dal taxi alla corsa più bella del mondo di mezzo c’era altro che il mare. Furono appena otto i diesel iscritti: quattro Mercedes-Benz 180 D e altrettante Fiat 1400 A Diesel.

Una battaglia in quasi assoluta parità: milleotto di cilindrata e 40 cv per la tedesca, millenove e 40 cv per l’italiana. Anche in questo caso – nel senso: in questa strana categoria – vinse una Mercedes-Benz, quella di Retter e Larcher, con numero di gara 04. Ma anche un’altra vettura della piccola squadra figurò parecchio bene: la 010A, di Masera e Cardinali.

È la vettura su cui abbiamo avuto il privilegio di salire e a cui sono dedicate queste righe (e immagini): l’unica tra le sopravvissute di quell’edizione della corsa di cui siano acclarate l’originalità, il “matching number” e tutto il resto. Di recente è arrivata nel garage di Andrea Nannetti, un giovane e appassionato commerciante toscano, che l’ha ritrovata a Pescara e ne ha ricostruito minuziosamente la storia con la fondamentale consulenza di Automotive Masterpieces.

Mercedes-Benz 180 D, un passo alla volta

L’iscrizione della 180 D alla 1000 Miglia fu un’iniziativa del copilota, Pasquale Cardinali. Era un funzionario dell’Aci che, per via del suo lavoro, aveva accesso privilegiato ai bandi delle gare (nel senso che li leggeva prima di tanti altri). Esaminando l’articolo 6 comma 5 del Regolamento della “XXII 1000 Miglia – Coppa Franco Mazzotti” Cardinali vide che c’era – per la prima volta – spazio per vetture “azionate da motore ciclo diesel con cilindrata fino a 2000 cm³”.

Anziché sorridere per il senso dell’umorismo dimostrato dagli organizzatori nell’aver considerato i diesel una sottocategoria delle vetture Sport, alzò la cornetta e chiamò Arturo Masera, un industriale operante nel settore dei bottonifici, allora 39enne, che il 19 novembre dell’anno prima aveva acquistato come sua auto personale una Mercedes-Benz 180 D.

Un tipo avanti sui tempi, per scegliere un diesel a metà degli anni 50 e per accordare la propria preferenza a un modello presentato appena nove mesi prima. I due si iscrissero, non senza suscitare una grande curiosità amplificata dalla copertura mediatica delle cronache locali.

Mercedes-Benz 180 D, per una 1000 Miglia a gasolio

Erano il solo equipaggio italiano su una Mercedes-Benz diesel, ma soprattutto un’auto con un motore del genere dovette fare, al pubblico di allora, suppergiù lo stesso effetto che hanno fatto a noi moderni le Formula E. Con la differenza che, a parte questa faccenda della classe, le poche diesel partecipanti erano “annegate” nel solito mare magnum della 1000 Miglia.

Alla fine ce l’hanno fatta

Con 17 ore, 23 minuti e 30 secondi la 180 D di Masera & Socio concluse la corsa terza nella sua sottocategoria e 220ª assoluta su 661 partecipanti. Un piazzamento molto più che decoroso per un’auto lenta e pesante, l’antitesi per antonomasia del concetto di velocità. Dopo l’inatteso exploit la 180 D tornò alla sua “vita da mediano”.

E, come per un inconsapevole omaggio al giro d’Italia compiuto tra Brescia e Roma il 30 aprile e il primo maggio 1955, collezionò passaggi di proprietà in mezza penisola, nemmeno a farlo apposta nella metà non interessata a suo tempo dalla corsa. Ha vissuto (e ha avuto le targhe) di Avellino, Roma, Reggio Calabria, Cosenza, Catanzaro e Caserta.

La targa PC 23284 con cui l’abbiamo fotografata è una replica di quella originale, che abbiamo utilizzato avendo avuto l’opportunità di organizzare il servizio su una strada chiusa al traffico.

Mercedes-Benz 180 D, un pilastro dell’evoluzione della Stella

1000 Miglia a parte, la 180 D ha avuto un ruolo di importanza capitale nello sviluppo della Mercedes-Benz: è stata il primo modello a scocca portante e il primo con i passaruota non più esterni, ma integrati nei fianchi, secondo la cosiddetta linea “Ponton” cui deve il suo nickname internazionale. Sicuramente più efficace del suo nome italiano, “Bauletto”, modellato sulle forme posteriori.

Debuttò nel luglio 1953 con un solo, vetusto motore a benzina ancora a valvole laterali cui, nel febbraio 1954, seguì il Diesel OM 636 VII, che avendo le valvole in testa era concettualmente più moderno. Le berline Mercedes-Benz non sono mai state rivoluzionarie, ma avevano comunque elementi che, anche tecnicamente, le collocavano un gradino più in alto della concorrenza: in un’epoca di ponti posteriori rigidi, la “Bauletto” sfoggiava sospensioni indipendenti sulle quattro ruote con retrotreno a semiassi oscillanti.

Mercedes-Benz 180 D, per una 1000 Miglia a gasolio

Con sostanziali evoluzioni meccaniche accompagnate solo da leggeri refresh estetici (perlopiù concentrati nel progressivo allargamento della griglia frontale) questa serie rimase in produzione sino a ottobre 1962, quando cedette le armi di fronte alla “Heckfosse” (“Codine” per noi).

Mercedes-Benz 180 D, sogna ancora la 1000 Miglia

Delle varie versioni della famiglia (chiamata in codice W120 oppure W180 nelle varianti a sei cilindri) la 180 D venne costruita in 152.983 unità, 116.485 delle quali con il motore originario, proposto sino al 1959 e successivamente potenziato: uno score niente male per un’autentica outsider.

Sostanzialmente conservata, la 010A della 1000 Miglia ha i numeri di gara ricostruiti secondo i font utilizzati all’epoca ed è stata ripristinata in alcuni dettagli dall’attuale proprietario attingendo alle immagini di gara del 1955 con un particolare scrupolo filologico: per questa ragione non monta le borchie sulle ruote, che nel corso della competizione la 180 D nera esibiva solo in piazza della Vittoria a Brescia e che furono poi eliminate subito dopo, visto che in tutte le altre foto che la ritraggono nei 1597 km verso Roma e ritorno mostra sempre i cerchi “nudi” e neri.

La prima cosa che viene in mente, accomodandosi al volante di questo macchinone, che dal vivo sembra molto più grande che in foto pur restando al di sotto della stazza di una suv media dei nostri giorni, è che chi la portò alla 1000 Miglia non era una persona sprovveduta. Perché se la macchina ti aiuta andare può essere relativamente facile, anche se non è che ne siano capaci tutti, ma fare bella figura con un pachiderma del genere richiede un impegno che merita tutto il rispetto del mondo.

Prova ad accenderla

Anche solo per le procedure di avviamento, che – a freddo – non va eseguito ma programmato. Prima si inserisce la chiave nel blocchetto di accensione e la si ruota sulla destra: si accende una spia rossa sulla plancia (indica che c’è corrente). A destra del volante, sotto la plancia, c’è un manettino: lo si porta in posizione uno.

A questo punto ci si concentra sul filamento a incandescenza (stile accendisigari) nascosto da una griglietta traforata a sinistra del piantone. Quando la luce si accende, significa che le candelette hanno preriscaldato: è il momento di spostare la levetta di prima sulla posizione due e di procedere all’avviamento vero e proprio.

Dall’inizio alla fine questa liturgia può richiedere anche più di un minuto, se la temperatura esterna è particolarmente bassa. Ma il bello deve ancora venire: il motore brontola scuotendo energicamente la carrozzeria con un ticchettio talmente lento, regolare e ritmato che fa quasi l’effetto di un vibromassaggiatore e concentrandosi con particolare attenzione pare quasi di poter immaginare le valvole una per una mentre si aprono e si chiudono.

Mercedes-Benz 180 D, il gusto per la lentezza

Più che guidarla, questa macchina, va… spostata, perché 40 cv su poco meno di tredici quintali sono veramente il nulla. Dunque: si tirano le marce (tanto, con un regime di picco di 3200, gira comunque bassissima), non si frena se non è strettamente necessario, sennò i piccoli tamburi si scaldano, senza contare che poi quel filo di spunto chi mai lo recupera più?

Ci si abitua dopo qualche centinaio di metri a non darsi pensiero dell’impazienza degli altri utenti della strada, i quali sulle prime tentano qualche fantasiosa imprecazione, poi si lasciano stregare da forme e numeri di gara e finiscono per perdonare tutto. Avrete capito che guidare una 180 D è tanto istruttivo quanto impegnativo.

Mercedes-Benz 180 D, per una 1000 Miglia a gasolio

Immaginate cosa poteva essere farci 1600 chilometri di corsa, su strade statali, in due giorni e – sì, mettiamoci pure anche quello, visto che oggi non possiamo farne a meno – senza condizionatore. Fidatevi: quei due non erano affatto dei piloti. Erano eroi.

 

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