
Testo di Miki Biasion, fotografie Federico Delami
La prima volta che mi sono seduto al volante di una 037 era il 1982. Mi trovavo al circuito “La Mandria”, all’epoca pista collaudi del gruppo Fiat, appena fuori Torino, per alcuni test. In quell’occasione l’auto era arrivata con l’ingegner Limone e ricordo di aver percorso qualche giro della pista ma, essendo abituato alle prestazioni ben più estreme della 037 del Gruppo B, salire sulla Rally, seppur avendo avuto un’esperienza più che positiva alla guida, non mi aveva gasato più di tanto.
Ancora oggi noto che si fa confusione tra i nomi della versione stradale e quella da competizione di questa Lancia. La stradale, per la quale era prevista la costruzione di un minimo di 200 esemplari per ottenere l’omologazione per il Gruppo B, era chiamata Rally, mentre la 037, diminutivo del codice del progetto SE037 usato da Abarth, era la versione destinata appunto alle competizioni, di cui sono stati costruiti 53 esemplari.

Con la 037 che dal 1983 al 1985 ho guidato sotto i colori del Jolly Club, sono riuscito a togliermi molte soddisfazioni, riuscendo a conquistare sia il campionato italiano sia quello europeo nella mia stagione d’esordio.
Il design della Rally, firmato dalla Pininfarina, è un capolavoro degli anni 80, capace di donare alla vettura il carattere sportivo, ma allo stesso tempo elegante che meglio incarna la filosofia Lancia. Per quanto possa apparire grande nelle immagini, vista dal vivo è davvero piccola se paragonata agli standard odierni, con i suoi 3,96 metri di lunghezza per 1,80 di altezza e appena 1,24 di altezza.

Come sulla Stratos, anche per la Rally si è partiti dalla cellula dell’abitacolo alle cui estremità sono stati aggiunti due telai a traliccio di tubi d’acciaio, motore in posizione centrale, cambio ZF a 5 marce e due imponenti, ma leggeri, cofani in vetroresina che, uniti alla particolare struttura del telaio, permettono una gran facilità di accesso agli organi meccanici.

La vettura che ho avuto il piacere di guidare per questo servizio è stata meticolosamente restaurata per essere riportata in condizioni perfette. Una delle prime cose che salta all’occhio è l’assenza dell’enorme spoiler posteriore. Seppur previsto come accessorio, la maggior parte delle stradali non lo montava: proprio per questo all’estremità del cofano posteriore sono visibili dei “tappetti” per coprire i fori che permettevano allo spoiler di essere saldamente ancorato al cofano stesso.
Un altro dettaglio curioso della vettura è la doppia gobba sul tetto, studiata per permettere al pilota, nel caso si trattasse di qualcuno di statura importante come Markku Alén o Walter Röhrl, di poter stare comodamente seduto nell’abitacolo indossando il casco (problema che, fortunatamente, con me non è mai sorto). Una scelta non solo funzionale e aerodinamica, ma anche utile per irrigidire la struttura del tetto.

Se l’accesso all’abitacolo non è facile, considerate sia la ridotta altezza da terra sia la presenza di una sezione del rollbar in bella vista, uscire è persino peggio; alla fine è un’auto da corsa con le targhe, che cosa ti puoi aspettare? Eppure è sorprendentemente comoda una volta che si sprofonda negli avvolgenti sedili in velluto.

Si sta seduti davvero in basso, ma ciò nonostante la posizione di guida è ottima, con tutto quanto al posto giusto, tranne la pedaliera che è leggermente disassata verso il centro della vettura. La stessa cosa accade sulla Stratos o sulla Delta.
L’interno, ridotto all’essenziale, richiama la 037 con cui correvo ma, come da tradizione Lancia, è molto curato. Sull’ampio cruscotto rettangolare c’è tutto quello che serve per far capire di essere su un’auto da corsa. Dietro il piccolo volante Abarth a 3 razze troviamo la strumentazione analogica con gli strumenti essenziali, senza fronzoli: tachimetro e contagiri al centro, circondati dagli indicatori di pressione e temperatura olio, carburante e temperatura del liquido refrigerante.

Inoltre, sempre nell’ampio cruscotto, immediatamente sopra la console centrale, c’è un oggetto molto interessante e affascinante: l’indicatore della pressione del compressore volumetrico. Con il motore in posizione posteriore centrale, il peso, essendo concentrato per 2/3 al retro, obbliga a essere molto cauti in fase di accelerazione in uscita dai tornanti, perché in questa fase il carico, spostandosi logicamente verso il posteriore, alleggerisce l’avantreno facendo subentrare un certo sottosterzo.
Il modo migliore per godersi la Rally su questi tipi di strade è arrivare a metà curva in frenata o in rilascio, in modo che il carico possa essere trasferito sull’asse anteriore, dando maggior direzionalità alla macchina e aumentando il grip in inserimento di curva. A 2/3 della curva poi, dosando bene il gas, si trasferisce il carico al posteriore, così il frontale, man mano che si alleggerisce, permette di accompagnare al meglio l’auto in uscita.

Avendo il compressore volumetrico poi, la Rally ha una coppia e una risposta davvero impressionanti, con il motore che è pronto fin da subito e sale di giri con una costanza che è una goduria. Tanto quanto lo è premere sull’acceleratore in preda ad assuefazione di adrenalina sentendo il sibilo del Volumex da dietro la testa che diventa sempre più intenso. Roba da pelle d’oca.
Come tutte le auto della “vecchia scuola”, anche la Rally ha la sua personalità, il suo carattere deciso con cui bisogna fare i conti. Non dà subito confidenza e inizialmente potrà sembrare pure scomoda, ma dopo averci preso un po’ la mano, sono restato sorpreso di quanto bella sia da guidare. Sebbene abbia “appena” 205 cv contro gli oltre 300 dell’ultima evoluzione della sorelle da corsa, l’esperienza di guida si rivela molto coinvolgente e soprattutto fisica, vista l’assenza del servosterzo.

Bisogna pur sempre ricordare che parliamo di una sportiva che pesa come un’utilitaria, non equipaggiata con alcun tipo di controllo o aiuto elettronico e che, grazie ai giusti ingredienti come il baricentro basso, la posizione del motore e la trazione posteriore, rende l’esperienza al volante incredibilmente coinvolgente e appagante.
È molto sincera nel comportamento, forse anche più della Delta, ma attenzione a sentirsi troppo sicuri, perché basta un attimo di distrazione e la Rally non perdona. Ma che soddisfazione quando si entra in sintonia! Quando i comandi diventano un’estensione del corpo e comincia quella meravigliosa danza tra i pedali, con le mani che si alternano tra il volante e leva del cambio e, curva dopo curva, si comincia a sentirsi tutt’uno con la macchina che pare praticamente quasi cucita addosso.

A distanza di tanti anni dalla prima volta, la Rally, con il suo carattere e la sua filosofia, mi hanno davvero sorpreso. Costruita attorno al pilota, senza fronzoli o inutili accessori che distolgono l’attenzione da ciò che davvero questa Lancia sa fare meglio: essere guidata.
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