Testo di Marco Visani, fotografie Carlo Di Giusto
Sono una coppia inossidabile: un’unione che rappresenta un caso pressoché unico nella storia della tecnica motoristica. Aste e bilancieri costituisco infatti un binomio inscindibile: se è vero che i secondi esistono (e funzionano) senza le prime, viceversa le aste da sole non servirebbero a nulla e si completano unicamente con i loro inseparabili compagni di viaggio. O avremmo forse dovuto scrivere “si completavano”, visto che parliamo di un’impostazione ormai quasi del tutto in disuso.
Piccolo promemoria dei fondamentali, prima di entrare nei dettagli. La composizione della miscela aria/carburante all’interno dei cilindri viene gestita dalle valvole, che nella forma più essenziale di un motore a scoppio sono una di aspirazione e una di scarico per ogni pistone.
Ad aprirle e chiuderle provvedono gli organi della distribuzione, che prendono indirettamente il moto dall’albero a gomiti tramite un dispositivo intermedio. Quest’ultimo, nella sua forma più tradizionale, è una catena o una cascata di ingranaggi che muove un asse munito di eccentrici, l’albero a camme.
Sino ai primi anni 60 la stragrande maggioranza dei propulsori montava tale elemento nel basamento (lo chiamavamo “albero a camme laterale”). Va da sé che, essendo le valvole sopra i cilindri, cioè nella testata, serviva qualcosa che trasferisse loro il movimento delle camme: quel qualcosa erano le aste, lunghe e sottili bacchette che spostavano i bilancieri (collocati nella parte alta della testa) e, mediante loro, agivano appunto sulle valvole stesse.
Se vi sembra un sistema complesso rispetto allo schema con asse a camme in testa (in cui le aste non ci sono) non avete torto: è macchinoso e pesante perché ci sono più componenti, comporta maggior assorbimento di energia, determina cospicue masse in moto alterno e giochi dovuti all’usura, tanto più evidenti quanto più lunghe sono le “bacchette”. Le quali, va da sé, risultano meno estese se l’albero a camme è posizionato più in alto.
La controprova è che questo tipo di distribuzione ha avuto un particolare (e prolungato) successo sui V8 americani, nei quali l’albero, essendo montato al centro delle due bancate, si “accontentava” di aste corte, autorizzando regimi di rotazione anche elevati – li usavano nelle corse, perfino in abbinamento al turbocompressore – di solito non idonei a questa architettura.
La gestione risultava già più complicata su un boxer che, avendo le due teste molto più distanti rispetto a un V, richiedeva aste lunghe come quelle di un motore in linea, se non di più. Ecco perché Lancia, sulla Flavia, ricorse a una originalissima e sofisticata configurazione bialbero nel basamento. Un’altra noia non necessariamente congenita, eppure diffusa su alcune famiglie di propulsori ad aste e bilancieri (primo tra tutti, il bicilindrico della Fiat 500 del 1957 e delle sue derivate), è la perdita di olio dagli astucci entro cui scorrono le aste.
Più caratteristica che fastidiosa, infine, la rumorosità di questo tipo di motore: un ticchettio di punterie particolarmente avvertibile, per citare un solo esempio, sul quattro cilindri Simca (impiegato, alla metà degli anni 80, anche su alcune Peugeot e su veicoli commerciali Citroën).
Malgrado queste non poche controindicazioni, la distribuzione ad aste e bilancieri ha avuto un grande seguito, in passato, perché risultava agile da registrare e perché limitava l’ingombro verticale del motore, abbassandone il baricentro con i vantaggi che ne derivavano in termini di ripartizione delle masse. La crisi, intesa come suo superamento e passaggio all’albero a camme in testa, si è collocata a cavallo degli anni 70, quando tuttavia ancora non mancavano molti modelli nuovi che ricorrevano all’impostazione tradizionale.
L’ultima vettura europea inedita ad avvalersi della soluzione è stata, nel 1996, la Ford Ka, mossa però dal vecchio motore Kent sviluppato in origine nel 1959, per la Anglia. Un altro modo per definire gli “aste e bilancieri” è chiamarli “motori a valvole in testa”. Il che può apparire quantomeno bizzarro, visto che anche quando l’albero a camme è nella testa le valvole sono collocate nello stesso modo.
La necessità di valorizzare a tal punto questa disposizione (anche a livello internazionale, con il corrispettivo ohv, over head valve) ha in realtà una ragione storica. Sino a prima della Seconda Guerra Mondiale, la maggioranza dei motori era infatti a valvole laterali, cioè poste nel basamento accanto ai cilindri e mosse direttamente dall’albero a camme sottostante: un sistema più semplice e immediato dell’aste e bilancieri.
Fu necessario superarlo perché il percorso tortuoso che la miscela era costretta a compiere per entrare nel cilindro, in pratica una sterzata a 90°, comportava una bassissima compressione e limitava considerevolmente l’efficienza. Naturalmente, con un propulsore sv (side valve) la testa era un semplice “coperchio” superiore del blocco, senza alcun’altra funzione se non quella di garantirne la tenuta stagna.
Un’ultima curiosità: mentre in italiano definiamo le unità ad aste e bilancieri citando entrambi i componenti del sistema e in inglese si punta direttamente alla posizione delle valvole, in francese si ignorano le aste e si parla di moteur culbuté (i culbuteurs sono appunto i bilancieri). Paese che vai, definizione che trovi. Come, di certo, si trovano mille diverse soluzioni tecniche.
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