
Archivio l’automobileclassica 20
Testo di Paolo Sormani fotografie di Alessio Migliorini e Arianna Romagnoli
“Quando lavoravamo
al prototipo io e i miei riferimenti operativi
a Maranello, Angelo Bellei
e Sergio Scaglietti, ci eravamo letteralmente innamorati
di quella Ferrari, la prima
a motore centrale
nella storia del Cavallino.
Ci sembrava bellissima…
internamente, fra di noi, l’avevamo battezzata Brigitte Bardot, BB: il coinvolgimento emotivo era forte…
Poi continuando con il lavoro
di messa a punto era diventato naturale chiamare quella macchina BB in tutti
i reparti Ferrari coinvolti nello sviluppo”
Leonardo Fioravanti,
Responsabile dell’aerodinamica in Pininfarina ai tempi della BB, in un’intervista
a La Repubblica nel 2018 ha così raccontato la genesi del nome della berlinetta Ferrari

Di auto con un nome di donna se n’erano già viste. Di Ferrari, mai. Anche se qui non si tratta di una donna qualunque, ma di una creata direttamente da Dio, per citare il titolo del film di Roger Vadim che l’ha donata al mondo. Come la Bardot, anche la BB è figlia del proprio tempo: potente, grintosa, diversa per tecnica e linea. “Nella BB c’è un’evoluzione di linee e di pensiero aerodinamico.
“Risolsi la parte anteriore nel modo più pulito possibile, per esempio con il leggero spoiler sotto la mascherina e la presa d’aria per il radiatore. Gli indicatori sono inseriti nella calandra, per segnalare i sorpassi senza dover alzare i fari”, racconta a l’automobileclassica Leonardo Fioravanti, che dal 1964 al 1987 ha pennellato per Pininfarina le Ferrari più belle e memorabili. “Nella fiancata aggiunsi la presa Naca per ventilare i freni posteriori e la fascia bassa in plastica nera, perché guidando le Ferrari avevo notato che tendevano a danneggiarsi per i sassi e altri oggetti che colpivano la parte inferiore. Dietro, aggiunsi una piccola ala alla fine del padiglione per indirizzare il flusso aerodinamico sulle prese d’aria del motore, verso la coda”.

Il motore in posizione centrale portava una disposizione delle masse che abbassava il baricentro e migliorava l’aerodinamicità, ma la decisione non fu certo scontata a Maranello. “Il Commendatore era sempre stato contrario alle gran turismo con il 12 cilindri centrale, diceva che erano vetture per piloti, potevano essere pericolose per gli utenti normali. Quando alla fine si autoconvinse del contrario, diede subito la precedenza alla BB, una macchina importante la cui estetica gli piacque moltissimo”, rivela Fioravanti.
Anche sulla questione del nome fu necessario rifletterci bene. Ferrari non poteva certo vendere ufficialmente un’auto in tutto il mondo alludendo a un’attrice francese e così venne coniata la denominazione Berlinetta Boxer, per quanto tecnicamente discutibile: fino ad allora le berlinette Ferrari erano infatti state quelle con il motore anteriore. Ma è soprattutto il propulsore a non poter essere definito propriamente un boxer, architettura contraddistinta dall’albero motore con manovelle e pistoni che “fanno a pugni” ruotando l’uno contro l’altro. Più corretto quindi classificare il propulsore della BB come un 12 cilindri piatto, con le bancate a V di 180°.

Presentata al salone dell’Automobile di Torino nel 1971, la gran turismo del Cavallino fu prodotta in tre modelli: 365 GT/4 BB (1973-1976) con cilindrata di 4390 cm³, 512 BB (1976-1981) con cubatura maggiorata a 4942 cm³ e 512 BBi (1981-1984), che portò nella dotazione tecnica anche l’iniezione. La sigla identificativa interna di quest’ultimo modello è F102, con motore tipo F110 A. Il numero 512 indica i 5 litri di cubatura globale accanto al numero dei cilindri.
Ed è proprio una BBi la protagonista di questo servizio, un esemplare immatricolato alla fine di novembre del 1981 alla Emmecars di Roma. Dopo un rapido giro di proprietari, resta nella Capitale per una ventina d’anni, cosa che le permette di mantenere la targa originale nera e arancio. Quindi sale in Lombardia, per allietare altri tre garage, ricevendo la certificazione storica nel 2012.

Era destino che la BB fosse nata per far girare la testa agli uomini. Ci riesce benissimo anche in questa ultima versione con l’iniezione meccanica continua Bosch K-Jetronic, che ne addolcisce l’indole selvaggia (340 cv a 6000 giri, contro i 360 a 6800 della prima serie a carburatori). Quella “i” in più nella sigla – necessaria al tempo per soddisfare le leggi antinquinamento sempre più stringenti e tentare di ridurre i consumi – oggi ne limita il valore collezionistico, anche se, nonostante abbia perso la purezza dei Weber triplo corpo, la BBi si lascia adorare per l’eleganza statuaria.

Mentre è ritratta in una notte milanese di pioggia, la 512 rompe il silenzio delle vie del Quadrilatero della Moda con inquieta eleganza. Piazza Meda, Montenapo, poi basta stuzzicare l’acceleratore e sta già paralizzando gli sguardi dei rari passanti in via Manzoni. Nella sua candida livrea pastello, è ancora più desiderabile. Dei 1007 esemplari costruiti fra il 1981 e il 1984, solo pochissime BBi con la guida a sinistra sono uscite da Maranello in monocolore bianco: la fascia inferiore nera della versione precedente poteva essere richiesta solo come optional.

La ricercatezza della carrozzeria presenta il tipico mix di materiali da gran turismo anni 70: il corpo centrale è di acciaio, i cofani anteriore e posteriore di alluminio, gli scudi e i sottoscocca del frontale e della coda in vetroresina rinforzata. Le ruote stellari in lega sono ancora chiuse dal classico gallettone; il futuro a cinque fori sarebbe arrivato poco dopo, con la Testarossa. L’adozione dei quattro pneumatici Michelin 240/55 VR 415 Trx aumenta la carreggiata sui due assi e, di conseguenza, la tenuta di strada.

La 512 è erotizzata fuori e altoborghese dentro. All’abitacolo si accede tirando la levetta sagomata in plastica nera. Una volta planati senza difficoltà sul sedile di guida, si è subito al cospetto del volante Nardi a tre razze con il fregio del Cavallino. Secondo l’impostazione da gran turismo, la posizione è piuttosto confortevole. Da com’è studiata, quasi non lascia pensare di trovarsi in una supercar dalle prestazioni esagerate, senza la mediazione dell’elettronica.

Anche se la gamba destra è sempre in contatto con il volante o il pomello della leva del cambio, la pedaliera centrale ben distanziata mette a proprio agio. La plancia imbottita in pelle chiara è fortemente caratterizzata dagli otto quadranti neri con indicatori in arancione fluo, sportivi e anni 70 come un cronografo Heuer Autavia Orange Boy. La radio Pioneer marchiata con il Cavallino rampante è per i cultori: ha l’equalizzatore a cinque bande separato, a sinistra del quadro strumenti. Gli interni in pelle Connolly color crema sono impreziositi dagli inserti antisudore in tessuto a costine firmato Ermenegildo Zegna. Sul tunnel centrale, insieme allo switch della regolazione elettrica dei retrovisori e gli alzavetri, spiccano i cursori di regolazione del condizionatore Borletti, che rinfresca l’abitacolo sfruttando un circuito indipendente da quello del riscaldatore. Un dettaglio fetish? Non è mai stata tolta la plastica protettiva originale dai brancardi. Quello sinistro include un ampio portacenere con accendisigari a scomparsa. Come a dire che, quelli, erano tempi in cui guidare e fumare erano un tutt’uno, al volante di una gran turismo da conquistatore.

Non è difficile capire perché questa Ferrari con il cuore da corsa sia così fortemente desiderata dai collezionisti. Una volta spente le luci della berlinetta, mi torna in mente il test di Carlos Reutemann per una rivista specializzata, in cui spiega come la BB non sia alla portata di tutti per spingere a fondo su strada, ma perfetta se sfruttata fino al 60-70%. La definizione, alla fine, è semplice ma efficace: un’auto senza eguali. Il Commendatore l’aveva capito: et Dieu créa l’auto.

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