
Testo di Fabio Madaro
Nel 1985, al Salone di Ginevra, fece la sua comparsa un’auto destinata a lasciare un segno profondo nella storia dell’automo italiana: la Y10. Recava il marchio Autobianchi (integrato dal 1969 a Lancia) ed era ufficialmente erede della Autobianchi A112, regina delle piccole negli anni Settanta e Ottanta.
La Y10 che in molti mercati venne venduta con il marchio Lancia, si presentava come una proposta completamente diversa: non solo un mezzo pratico e compatto, ma una vera e propria city car di classe, capace di portare nel segmento più piccolo la raffinatezza e il gusto per i dettagli tipici del marchio torinese. Era lunga appena 3,39 metri, larga poco più di 1,5 e con un peso che sfiorava gli 800 kg, ma riusciva a trasmettere un’inedita impressione di eleganza.

Il suo design a coda tronca, firmato dal Centro Stile Fiat, fu coraggioso e innovativo. Quel posteriore verticale, con l’originale portellone nero lucido a contrasto, divenne subito un tratto distintivo. Una scelta audace che divise l’opinione pubblica: c’era chi lo trovava futuristico e chi, più tradizionalista, lo considerava eccessivo. Ma è stato proprio quell’elemento a trasformare la Y10 in un’icona senza tempo.
Una sciccheria in miniatura La Y10 venne lanciata con lo slogan pubblicitario “Piace alla gente che piace”, sintesi perfetta della sua missione: una piccola destinata a un pubblico urbano, moderno, attento al design e alla qualità. Non era solo una city car, ma una sorta di status, un concentrato di stile italiano applicato a dimensioni compatte. L’abitacolo rappresentava una piccola rivoluzione per la categoria: sedili con rivestimenti in Alcantara (una primizia per un’utilitaria), plancia curata nei dettagli, attenzione all’insonorizzazione e dotazioni fino ad allora impensabili per una compatta. Le recensioni dell’epoca la definivano come una piccola ammiraglia che non rinuncia alla raffinatezza.

La gamma motori al debutto includeva il 999 cc Fire da 45 cv, seguita dalla Touring con il quattro cilindri di 1049 cc e 56 cv, motore utilizzato anche dalla più brillante versione Turbo da 85 cv. La Y10 Turbo si trasformava così in una pepata sportivetta capace di superare i 170 km/h.
Nel corso della sua lunga carriera (sono state prodotte oltre 850.000 unità fino al 1995) arrivarono molte altre varianti compresa la 4WD a trazione integrale inseribile mediante l’apposito pulsante sulla plancia o ancora le evoluzioni dei motori Fire dotati di impianti di alimentazione a iniezione elettronica.

La Y10 era insomma una vettura poliedrica: dalle versioni base più accessibili fino agli allestimenti di lusso che a un certo punto inclusero anche la Selectronic, con cambio automatico a variazione continua. O ancora le innumerevoli versioni speciali firmate in collaborazione con grandi aziende tra cui Fila, Missoni, Poltrona Frau, Martini. In questo modo, riusciva a spaziare dal pubblico femminile giovane e dinamico agli automobilisti più maturi che cercavano un secondo veicolo senza rinunciare al comfort.
Spesso ricordata come una “piccola tutta italiana”, la Y10 conobbe un discreto successo anche fuori dai confini nazionali. In Francia e in Spagna conquistò una clientela urbana alla ricerca di praticità con stile, mentre in Giappone divenne quasi un oggetto cult, apprezzato per la sua originalità e per l’aria chic che trasmetteva. Non a caso, una pubblicità giapponese la presentava come una “mini car europea dal cuore elegante”. Il reparto marketing Lancia investì dunque molto nella costruzione dell’immagine della Y10. Gli spot televisivi e le campagne stampa ne esaltavano con frande astuzia la raffinatezza e l’originalità.

Dopo tre serie (la prima dal 1985 al 1989, la seconda dal 1989 al 1992 e la terza fino al 1995), la carriera della Y10 si concluse appunto nel 1995 quando le subentrò la Lancia Y. Quest’ultima raccolse l’eredità con grande successo, diventando a sua volta una delle city car più longeve e amate in Italia. Per anni, la Y ha dominato il mercato delle piccole a tre porte, resistendo alla concorrenza con restyling costanti e una fedeltà quasi irripetibile del pubblico femminile. Rimase in produzione fino al 2003 ed ebbe in dote motori Fire di 1,1: 1,2 e 1,4 litri con potenze comprese tra 55 e 86 cv. Anche sulla Y venne riposta grande attenzione sui contenuti che nella maggior parte dei casi erano di livello superiore a quello di molte altre utilitarie.

Dal 2003 tocca invece alla Ypsilon (la lettera dell’alfabeto greco è scritta per esteso) rappresentare il pensiero della Lancia e nel segmento delle city car, oltre che essere per un lungo periodo l’ultimo baluardo del marchio torinese sul mercato.

A partire dal 2024, la nuova Lancia Ypsilon elettrica prima e la ibrida poi hanno raccolto il testimone, segnando una svolta radicale verso la mobilità green. Ma questa, come si suol dire, è tutta un’altra storia.

Tornando alla prima Y10 non resta che sottolineare quanto sia stata importante nella storia dell’auto italiana: un modello di segmento B che ha saputo trasformarsi in status symbol, un’icona di stile e compagna di viaggio per milioni di italiani. Un modello che, pur nelle sue dimensioni contenute, ha lasciato un segno nella memoria collettiva.
Oggi, a distanza di quasi quarant’anni dal debutto, il ricordo della Y10 è ancora vivo: nelle fiere di auto storiche, nei raduni degli appassionati, nelle storie personali di chi l’ha avuta come prima auto. Perché, in fondo, la Y10 era molto più di una vettura da città: era un pezzo di eleganza italiana a quattro ruote, fatto di soluzioni intelligenti, di campagne pubblicitarie raffinate e di un design che non temeva confronti.

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