
Testo e fotografie di Carlo di Giusto
Per capire cosʼera la Paris-Dakar bastano poche parole di Thierry Sabine: “Allʼarrivo sulla spiaggia del Lago Rosa sarà un altro uomo colui che lancerà in aria il suo casco”. Come a dire che la gara avrebbe avuto il potere di sconvolgere nel profondo lʼanimo del suo vincitore. Con questa frase, la maratona africana, ideata, voluta e creata dal geniale Sabine, era entrata nella leggenda ancora prima di essere disputata. Era il 1979. Una maratona per lo più – africana se si esclude il prologo in Europa, una passeggiata confronto al resto – una gara durissima, spietata, mortale anche. E forse per questo irresistibile. Solo disputarla voleva dire entrare nella leggenda, figuriamoci vincerla, sfidando se stessi soprattutto.
“Mi chiamo Alfredo Ardenghi e ho appena comprato una Panda che ha disputato la Paris-Dakar nel 1984 e nel 1985. La telefonata arriva nel bel mezzo di una giornata dellʼautunno del 2022. Ora, di presunte Panda che abbiano corso il rally africano è pieno il mondo, anche se non hanno uno straccio di prova che lo dimostri. Questa volta, però, è diverso, le prove ci sono eccome: documenti, certificati di conformità, cronologici, fotografie, soprattutto una macchina che non può essere stata allestita oggi e che pare uscita dal reparto esperienze di una Casa automobilistica.

Un prototipo con poco o nulla da spartire con la vettura di serie dalla quale deriva, soprattutto nel sottoscocca: braccetti delle sospensioni anteriori forgiati dallʼAbarth, avantreno della Ritmo Abarth modificato, molle e ammortizzatori Bilstein, ponte posteriore della Fiat 131 con ammortizzatori della Lancia 037… E il motore: il 1301 cm3 della Fiat 127 Sport preparato e portato a 100 cv di potenza. Ruote da 14” prese dalla 131 Maratea con pneumatici Pirelli 175 SR 14. Le porte e i cofani sono di vetroresina, svuotati e alleggeriti come tutto lʼabitacolo del resto, e i finestrini sono di plexiglass. È una vera macchina da corsa allestita per le gare nel deserto: “Nel bagagliaio ci sono ancora le casse con le stoviglie da campo utilizzate dallʼequipaggio e il Tirfor (il verricello, ndr) originale”, mi spiega Alfredo, prima di raccontarmi come ne è venuto in possesso. “Lʼho acquistata da Cyril Gautier, un collezionista francese, marito di Carolina Bugatti, la nipote di Ettore”. Ma dai!
A questo punto ne voglio sapere di più e lʼunico modo è quello di rintracciare Hervé de Labriffe, il pilota che ha disputato la Paris-Dakar con la Panda 4×4 nel 1984, con il numero 207, e nel 1985, con il numero 280. La prima domanda che gli voglio fare è: “Perché?”.
Hervé de Labriffe è oggi un signore di 73 anni molto conosciuto nel settore automotive, dove si è costruito una solida reputazione di livello internazionale. “Allʼepoca, nella metà degli anni 80, ero responsabile dello sviluppo rete e del controllo di gestione presso Fiat Auto France”, mi spiega, riavvolgendo il nastro della memoria: “Ero appassionato di automobili, ho realizzato le Buggy Marland per sette anni, mi sono occupato di corse automobilistiche dal 1974, Renault Cross 4L, British Leyland Trophy con le Mini Cooper, Innocenti 120 e Metro, poi di Rallycross con Fiat 127 e sono stato presidente del Club dʼAmateurs Fiat dʼEpoque”. Uno di noi, dunque. O quasi: “Il mio amico René Metge (quel René Metge, ndr), che stava preparando la mia Mini nel suo garage Autorama 92, mi spinse a fare la Dakar. La Fiat aveva appena lanciato la Panda 4×4, così ebbi lʼidea di creare un team di due vetture, una per le celebrities e una per me. La presenza delle celebrities permise di aumentare il budget. Così, nel 1984, ebbe inizio lʼavventura insieme a Claude Devoyon, un venditore che lavorava per Metge: abbiamo fatto la Paris-Dakar tre volte assieme, nel 1984, 85 e 86”.
La Panda 4×4 è stata consegnata a Fiat Auto France il 29 settembre 1983: “Il progetto è stato sostenuto economicamente da Fiat Auto France, le auto appartenevano ed erano intestate alla società. Abbiamo preparato le vetture con il team progetti avanzati della Fiat, con sede a Heilbronn, in Germania. E in tutto hanno realizzato quattro veicoli. Della squadra facevano parte, oltre alle due Panda, anche una Campagnola e un camion Iveco. Tutti apprezzarono la qualità della preparazione e si capiva che si trattava di una squadra ufficiale”.
La livrea della sua Panda 4×4 è particolare, di quel verde acceso che negli anni 80 era il colore ufficiale del marchio di abbigliamento Benetton. Il discorso scivola sugli sponsor: “Mi sono rivolto prima ad Autovox, perché era un nostro fornitore; poi ho incontrato Luciano Benetton e Paolo Barilla a Parigi e hanno accettato di entrare nel progetto. E la partecipazione di Evelyne Dhéliat, annunciatrice televisiva, e di Marianne Hoepfner, moglie di Jean Louis Trintignant, nella seconda vettura (bianca e con i loghi Barilla, ndr) ha aiutato a prendere una decisione”.

Le cronache dellʼepoca riportano che nessuna delle Panda 4×4 raggiunse il Lago Rosa, in Senegal, ma in rete non ci sono molte informazioni in merito, al di là delle classifiche che danno lʼequipaggio de Labriffe-Devoyon come ritirato. Nel 1984, mentre lʼamico René Metge sʼavviava verso una vittoria storica al volante della Porsche 953, il manager francese ricorda che “la Panda era leggera e andava ovunque con disinvoltura, anche sulla sabbia, per la quale montavamo pneumatici slick intagliati. Purtroppo”, prosegue de Labriffe, “siamo rimasti schiacciati tra una Mercedes e una Isuzu che non ci avevano visto a causa della polvere mentre attraversavamo uno uadi (il letto più frequentemente asciutto dei corsi dʼacqua nel deserto, ndr). La Panda 4×4 n. 207 ha cominciato a prendere fuoco perché nellʼimpatto si era staccato il carburatore. Ho dovuto aspettare il camion con i ricambi, ma la botta aveva addirittura spostato il motore e non potevo più inserire le quattro ruote motrici. Abbiamo preferito tornare a Parigi piuttosto che rischiare di perdere lʼauto. Lʼequipaggio delle ragazze, invece, fu ritardato dal surriscaldamento del motore mentre attraversava il deserto del Ténéré: si ritrovarono fuori gara, ma continuarono alla volta di Dakar”.
Lʼanno successivo, stessa gara, medesimo equipaggio, stessa Panda e, purtroppo, stessa sorte: “Nel 1985”, ricorda il pilota, “dovemmo fermarci nel sud dellʼAlgeria perché noi non avevamo più gli ammortizzatori e Pascal Witmeur, sullʼaltra Panda 4×4 in coppia con Plastic Bertrand (Ça Plane Pour Moi, lui, ndr), aveva danneggiato il motore. Dato che avevamo in programma molti appuntamenti con le Panda al nostro ritorno, abbiamo preferito tornare in Francia prima di rompere le macchine”.
Hervé de Labriffe, che oggi mette a disposizione la sua esperienza in svariati ambiti del settore auto come consulente, si congeda, ammettendo di aver vissuto “due grandi esperienze di organizzazione e preparazione per quello che resterà sempre un grande ricordo sportivo”.
Oggi la Fiat Panda 4×4 di Hervé de Labriffe e Claude Devoyon ha ritrovato la sua livrea storica, indossata nellʼultima gara: un ripristino durato pochissimo, perché cʼerano tutti i suoi pezzi speciali e nel tempo non erano state apportate altre modifiche, con lʼunica difficoltà nel reperire le gomme giuste, scovate in Brasile, una botta di fortuna. Una messa a punto generale e il motore originale ruggisce sulla sabbia: vedendola sfrecciare tra le pozzanghere e i cumuli di ghiaia pare ancora a proprio agio, leggera e disinvolta. Esattamente come 40 anni fa, nel lontanissimo gennaio del 1984.

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