
Testo di Ivan Capelli. Fotografie di Wolfango
Archivio Youngclassic: n. 12 (Non è nella vostra libreria? QUI potete richiedere l’arretrato)
James “Sonny” Crockett e Ricardo “Rico” Tubbs. No, non sono i nomi di due piloti famosi che hanno partecipato a mirabolanti corse su Ferrari, ma per molti di voi tornati indietro nel tempo e hanno trovato la risposta giusta nella loro memoria, sono gli attori Don Johnson e Philip Michael Thomas, interpreti della serie cult degli anni 80 Miami Vice, dove due detective affrontano la “malavita” nelle strade di Miami. Indiscutibile il loro fascino con la moda del momento tra giacche a maxispalla e capi d’abbigliamento luccicanti.

Lo stile in quel periodo storico viveva sull’ostentazione della ricchezza e questo si traduceva nel potersi permettere l’acquisto di abbigliamento di stilisti famosi o di accessori, a patto che fosse ben visibile il logo del marchio. Ed ecco che i nostri protagonisti, o meglio i produttori della serie della Nbc, decidono che per essere veramente fuori dagli schemi, i due super detective devono essere alla guida di una Ferrari Testarossa. Quale miglior “brand” che rappresenta il lusso.
Nella serie la vettura è meno aggressiva perché vestita di un bianco candido per l’esterno e un color pelle chiaro per l’interno, come a voler scegliere tonalità dal facile abbinamento a tutte le mise degli interpreti. Il risultato è che la Ferrari Testarossa diventa lei stessa protagonista al pari degli attori e tra sgommate e accelerazioni nel traffico all’inseguimento dei malfattori, aiuta e condivide i meriti del successo televisivo. Dopo tutta questa esaltazione, Wolfango il fotografo che mi segue in questa prova, mi guarda e sorride. Traducendo è come se mi dicesse: Don Johnson è un’altra cosa.

Okay, torno nei panni a me più familiari e mi avvicino alla Testarossa nel colore più classico, dove la larghezza del posteriore con la fanaleria così importante caratterizza subito la natura di questa super sportiva. Nel fianco della vettura sinuoso sono bene in evidenza le grandi griglie laterali che partono a metà portiera per terminare verso il passaruota posteriore. Prima di calarmi in abitacolo noto il comando del freno a mano a sinistra del sedile, le due leve per l’apertura dei rispettivi cofani e il battitacco con la scritta “Ferrari”. La posizione guida è quella che mi ricordavo. Sì, perché nel 1992, quando sono stato pilota Ferrari insieme a Jean Alesi mi avevano dato come vettura di servizio una Testarossa 512 TR, l’evoluzione della vettura oggi in prova. All’interno del quadro strumenti troneggiano contagiri e contachilometri con una tonalità arancione, in contrasto con il fondo nero.

È arrivato il momento e al comando di accensione tramite la chiave risponde il 12 cilindri a V piatta di 180 gradi con quattro valvole per cilindro. Primo motore così frazionato in Ferrari ad avere questa scelta tecnica. Il suono è inconfondibile e anche da fermo pervade l’abitacolo. La frizione necessita di una spinta importante e inserisco la prima “verso il basso”, cioè verso di me. I rapporti salgono con facilità anche se come sempre vedere il selettore così ben definito con le sue scanalature per ospitare i movimenti dei cambi marcia, mette un po’ di ansia perché si ha sempre il timore di sbagliare. Alla prima frenata mi prendo il tempo corretto per non “grattare” e il punta-tacco mi aiuta a trovare i tempi giusti di inserimento del rapporto inferiore. Se la frizione mi aveva ricordato che la Testarossa ha 40 anni di progettazione sulle spalle, il volante me lo conferma per la sua “pesantezza”. Agendo solo tramite la cremagliera nell’inserimento in curva è necessario impugnare con decisione la corona e produrre una certa forza per controllare la traiettoria.

Al secondo passaggio comincio a dare più “gas” e il contagiri si avvicina al limite dei 6800 giri minuto. I cambi marcia a salire diventano più fluidi e sembra quasi che sia il motore ad attrarre il rapporto successivo con naturalezza e la leva del cambio segue i movimenti senza esitazioni. Merito dello schema dogleg. Come detto in precedenza la prima è verso il pilota, ed è un rapporto che nelle competizioni viene usato solo per la partenza dai box o in gara. Dopo un allungo, ecco che mi si presenta davanti un tornante che decido di affrontare in seconda marcia. L’inserimento avviene sempre con una certa ruvidità per lo sforzo da esercitare sul volante, ma questo mi prepara all’uscita dove apro con più decisione l’acceleratore e il retrotreno parte in un sovrasterzo di potenza. Lo sterzo ha un ritorno repentino e per controllare la derapata devo agire con velocità sulla ghiera del volante. Eh sì ragazzi, qui si torna veramente indietro nel tempo dove i controlli elettronici erano una chimera, basti pensare che per la Testarossa il sistema abs è stato reso disponibile solo dal 1993.

Entro nello steering pad, un cerchio a raggio costante dove si mantiene un angolo di volante fisso fino al raggiungimento del limite di aderenza. Con questa manovra si valuta il comportamento dinamico a velocità costante e crescente. La Testarossa in seconda marcia, trovati i gradi corretti di sterzata con velocità costante, mantiene una precisione invidiabile. Questo mi permette di “giocare” con l’acceleratore e sentire immediatamente quando si arriva al limite. I pneumatici montati su cerchi da 16 pollici, con dimensioni da 225 all’anteriore e 255 al posteriore, cominciano a indicare con l’aumentare dello stridere sull’asfalto che sto per superarlo. Mi preparo bene sul sedile per non scivolare e apro in modo repentino l’acceleratore e il retrotreno della Testarossa parte in una derapata controllata gestita tramite il movimento veloce delle mani sul volante per trovare i gradi corretti di controsterzo e contemporaneamente lavoro sul gas aprendo e chiudendo le “farfalle” del motore. I giri non sono elevati, siamo intorno ai 4000-4500, proprio nel punto dove si raggiungono i 490 Nm di coppia massima. Sembra tutto facile, ma l’esubero di potenza e l’architettura delle sospensioni derivate da un’esperienza fatta di corse permette di poter “giocare” e potrei continuare all’infinito.

Esco dallo steering pad accaldato e accendo l’aria condizionata che mi fa venire un brivido per portata d’aria e temperatura e mi tornano in mente i commenti alla presentazione della Testarossa, dove parte della clientela la riteneva troppo evoluta nell’interno, troppo sofisticata. Detto tra noi, era meglio godersi il comfort che pensare di raggiungere i 290 km/h di velocità massima. L’aerodinamica era ancora semplice e non era certo votata alla ricerca di carico verso il basso e sulla Testarossa lo splitter anteriore è ininfluente. Infatti, nel mio giro di pista a Linate affronto una curva di quarta dove il grip meccanico viene meno e l’aerodinamica dovrebbe farsi sentire. Il volante comincia a diventare leggero e le correzioni di traiettoria sono più importanti. Nell’allungo successivo mi spingo sino alla quinta ed è lì che la Testarossa trova il suo habitat. Ben bilanciata con i suoi 1505 kg di peso a vuoto, permette di mettere alla frusta il 12 cilindri che non si risparmia e anche rallentando e mantenendo il rapporto più lungo, riprende vita nell’erogare la potenza pur affondando l’acceleratore sino a fondo scala e senza esitazioni. Raggiunta una velocità ragguardevole, provo una frenata estrema e l’impianto equipaggiato con i dischi autoventilanti anteriori e posteriori mi trasmette il giusto feeling anche se il pedale del freno è un po’ spugnoso. Sono fermo e mi preparo per un’accelerazione stile Miami Vice.

Wolfango che mi segue passo passo, mi fa segno con la mano indicando l’accensione dei fanali. Cerco il comando a sinistra del piantone e toccandolo mi viene in mente che avevo la stessa leva sulla mia Delta 16 valvole. I fari pop up compaiono ruotando sul loro meccanismo: il muso della Testarossa semplice e pulito nelle sue linee diventa aggressivo e sono bastati due fanali. Che spettacolo! Inserisco la prima e muovo la frizione per sentire lo stacco. Ci sono. Ho trovato l’equilibrio, rilascio la frizione e affondo sul gas. Il retrotreno pattina e lei scatta in avanti: il contagiri segna 6800 giri. Passo alla seconda e l’acceleratore va giù ancora e la lancetta indica che devo passare in terza. All’epoca l’accelerazione dichiarata dalla Casa di Maranello era di 5,8 secondi nello 0-100. Don Johnson si sarà divertito a sgommare tra le strade di Miami con la Testarossa senza chiedersi perché fosse la prima Ferrari a non riportare alcun riferimento numerico nel nome. E tu, te lo sei mai chiesto?
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