A cura di Marcello Mereu
Per smuovere le acque e cercare qualcosa da fare chiamo l’ineffabile Riccardo Tosi, amico e collezionista atipico, un uomo dal gusto terribilmente sofisticato, e gli domando: “Ric, non hai qualche chicca da preparare?”. “Mah, sai – mi risponde lui laconico – ora non ho nulla, solo una Saab 9-3 del 2008 appena arrivata dalla Svezia, dovrebbe fare il detailing interno…”.
Una Saab? Sogno o son desto? Gli dico di portarla appena può, in modo da occuparmene subito. L’arrivo della svedese in studio mi mette allegria, sono un fan sfegatato di Saab da sempre. Tutto in lei mi affascina, la storia anzitutto: interessante il fatto che un marchio che progettava arerei si sia messo nel 1945 a costruire un’automobile che assomigliava a tutto tranne che a un aereo… E poi il design del brand, che negli anni si era evoluto con quel particolare montante denominato hockey stick, ma soprattutto l’ingegneria, quella con la “I” maiuscola, di cui il marchio si è sempre fatto vanto a ogni comunicato stampa, un’eccellenza che probabilmente era sì reale – nessuno ne dubita – ma anche una sorta di arma narrativa, sapientemente cavalcata per anni dal marketing del brand.
Metto nella postazione più ampia l’auto in livrea rosso nord Europa e spalanco le porte: subito mi colpisce il fornitissimo corredo di guarnizioni, d’istinto penso alle fangose strade svedesi, quindi immagino che tutta questa gomma serva a non fare filtrare nell’abitacolo i gelidi spifferi scandinavi!
Inizio l’analisi dell’interno che sarà oggetto delle mie cure, un abitacolo spartanissimo in tessuto simil pelle, zero modanature dall’aspetto finto lussuoso, tipo legno o simil carbonio, del resto quest’esemplare era stato inizialmente immatricolato in Svezia, quindi full leather e legno sarebbero state scelte troppo frivole.
Nel caso specifico della pelle, oltretutto, c’è da ricordare che in inverno questa ghiaccia il fondoschiena, provare per credere. Quindi cosa scelse Saab, paladina della socialdemocrazia nordica? Tessuto tecnico antimacchia a profusione e finiture in finta pelle, stop. Volete sapere quale fosse lo stato di mantenimento dell’abitacolo? Da bollino rosso. Le superfici si presentavano sporchissime, cariche di vita umana… e canina.
Dopo aver attentamente aspirato prima i sedili e poi tutta l’auto procedo con il lavaggio del tessuto foderato con un iniettore-estrattore, un macchinario che bagna il tessuto con un ugello e che sotto ha un becco piatto che aspira. Ma la spazzola a setole elastiche è la vera arma segreta del detailer, infatti mi aiuta a muovere lo sporco tra le fibre, in modo che l’aspirazione risulti più efficace. Dopo due ore, frastornato dal rumore infernale del macchinario, tiro un sospiro di sollievo: una volta fatta la pulitura, il tessuto si rivela bellissimo. Spalanco le portiere e lascio aerare l’abitacolo per un paio d’ore.
Nell’attesa che asciughino i sedili apro casualmente il cofano e lo scenario che mi si para davanti agli occhi è da incubo: il motore è ricoperto da una coltre di polvere giallina, evidentemente questa Saab ha pascolato a lungo anche su strade non asfaltate. Non posso esimermi dal mettere subito mano a questo scempio e inizio a pulire qua e là, tanto che nel giro di tre ore faccio una vera e propria detersione profonda: utilizzando varie microfibre inumidite e un delicato prodotto alcalino, pulisco ogni elemento che costituisce il motore, per le parti in gomma mi servo di vaselina alimentare, tirando bene tutto il deposito, con un mix di manualità e pazienza.
In testa ho sempre la luce da speleologo per insinuarmi con le mani negli anfratti più nascosti, rigorosamente con i guanti indossati. Torno quindi a controllare i sedili ancora umidi nonostante il riscaldamento del locale sia regolato al massimo. Mentre rifletto sul da farsi, il mio sguardo incrocia la protezione in plastica degli specchietti retrovisori, totalmente sbiadita dalle intemperie: brutta cosa, ma dopo dodici anni ci sta, succede anche alle auto migliori.
Non era previsto che intervenissi sull’esterno dell’auto, ma come farsi sfuggire una tale goduriosa occasione? Prendo olio e pigmento, pennelli e spugnette, carta giapponese (che serve a togliere l’eccesso senza assorbire troppo) e inizio a “dipingere”, con pennellate geometriche faccio assorbire il colore, tiro con la spugnetta di silicone, per ultima passo la carta giapponese; poi, per essere sicuro che il pigmento penetri e si fissi, decido di usare la pistola a calore, molto blanda (sui 60 °C) e ben distante. Quel getto di aria, calda e secca come il ghibli, il vento che increspa le dune del Sahara, è pronto a fare il suo dovere.
Ora posso tornare all’abitacolo, dove le parti in tessuto dei sedili, lavate e finalmente asciutte, presentano solo qualche alone, che tolgo con una microfibra inumidita: ora sì che sono perfette! Passo alla pulizia delle superfici in finta pelle, utilizzando del detergente schiumogeno applicato con una spazzola morbida per i sedili e le mani per i pannelli.
Rimuovo la schiuma sempre usando una microfibra inumidita e ripeto fino a piena soddisfazione visiva: bisogna tener conto che, essendo questa una finta pelle stampata con venature molto profonde, tende a sporcarsi di più, quindi la pulizia deve essere più accurata rispetto a una pelle liscia. L’ultima parte dell’intervento è dedicata al detailing interno e in questa fase mi rendo davvero conto di quanto sia pazzesca l’ergonomia dell’abitacolo Saab.
Pazzesca perché ogni dettaglio è studiato in modo certosino e geniale: per esempio, il bocchettone di accensione è posizionato tra i sedili, mentre le bocchette sono una vera e propria opera di ingegneria fluidodinamica, visto che la griglia non è una normale griglia ma uno strato di lamelle (tipo wafer austriaco) che, muovendosi, genera un foro lamellare, che serve per ridurre il rumore del flusso d’aria alla massima potenza.
Evidentemente gli svedesi non amano alzare la voce all’abbassarsi delle temperature, quindi il riscaldamento non deve far rumore: questo è il tipo di ingegneria che mi piace! Comunque, tornando al detailing, è chiaro che pulire bocchette come queste non sia facilissimo: decido di aspirarle bene con una spazzola morbida e muovere la polvere all’interno delle lamelle con un pennello.
Restando in tema di cura della componentistica, mi accorgo che la qualità dei tasti è molto coerente con la filosofia svedese del “fatto bene ma non lussuoso”: i pulsanti hanno infatti un’escursione cortissima e producono un suono ovattato. Perfetto.
La giornata volge al termine ma io sono ancora lì che mi incaponisco nella finitura, attento al minimo particolare in modo quasi ossessivo, come se avessi sotto le mani la più rara e preziosa delle supercar e non una concreta station wagon svedese: pettino la moquette e risistemo i sovratappeti in gomma.
Controllo poi con la luce sotto il sedile, casomai fosse rimasto un impertinente granello di polvere. Finito il detailing interno spingo la portiera: thud, il suono che ne accompagna la chiusura è sordo, trasmette qualità, restituisce una grande soddisfazione. E questo è l’ennesimo particolare che mi invita a riflettere sullo strano destino della Saab, un marchio che, forse, ricercò addirittura troppo l’eccellenza, pur volendo mantenere un’immagine di understatement.
Sulle Saab non c’era niente di urlato, niente di lussuoso, ma tutto solido, resistente, frutto di un pensiero. Probabilmente quella del marchio scandinavo era una filosofia troppo raffinata per poter sopravvivere ai tempi di Instagram e TikTok, dove le auto sembrano alberi di Natale pieni di beep e di luci a led. Rip Saab!
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