
Testo di Saverio Villa, fotografie Wolfango
Non doveva essere lei a sbancare la 24 Ore di Le Mans del 1965. E invece l’ha fatto. Anzi, addirittura subito dopo la LM 250 vincitrice, di Masten Gregory e Jochen Rindt, tagliò il traguardo la sua gemella guidata da Pierre Dumay e Gustave Gosselin. Erano state iscritte entrambe da team privati e, certo, non godevano dei favori del pronostico.

Quell’anno, dietro le due 250 LM, si classificarono, o non arrivarono neppure alla fine, le altre Ferrari ufficiali e semiufficiali, le Porsche e lo squadrone Ford, messo insieme in fretta e furia con l’obiettivo di “farla pagare al Drake” per i fatti noti. E se non vi fossero abbastanza noti, il film Le Mans ’66 – La grande sfida del 2019 potrebbe essere un ottimo ripasso.
Non doveva essere lei a lasciarsi tutti dietro. Anche perché per lo meno in linea teorica, non era attrezzata per competere tra prototipi. Lei era stata pensata per gareggiare tra le granturismo derivate di serie. Ma a Maranello non erano risusciti a mettere insieme i 100 esemplari richiesti per l’omologazione. Quindi la 250 LM fu costretta a darsi da fare nella classe superiore, insieme a vetture progettate appositamente.
Sarà per l’alone di leggenda legato a quell’episodio (e anche a parecchie altre vittorie) o, forse, sarà semplicemente perché stiamo parlando di un’auto straordinaria, ma la 250 LM è diventata la granturismo di Maranello più preziosa di sempre. Dopo ovviamente l’inarrivabile 250 Gto. Questo, però, non significa che sia tanto più “arrivabile”. Anzi, il proprietario dell’esemplare del servizio, che ha sangue e humour inglese nelle vene, racconta che tra il 1963 e il 1964 ne sono state prodotte 32 (forse 33, dipende dalle fonti che si consultano) e oggi “ne sono sopravvissute circa 40”.

Perché, negli anni, qualcuno ha ricostruito esemplari assemblando pezzi presi un po’ qua, un po’ là. Così una LM più o meno raffazzonata o non originale in tutte le sue parti può valere intorno ai 10 milioni di dollari. Mentre la vettura vincitrice di Le Mans, che è conservata nel museo di Indianapolis, potrebbe arrivare in zona 35-40 milioni. Comunque, a scanso di equivoci, gli esemplari irreprensibili in tutte le loro parti (telaio, motore, cambio e carrozzeria), pare che siano solo nove.
Il proprietario dell’esemplare del servizio, che chiameremo Mr. X per rispettare la privacy, si è innamorato del modello al salone dell’auto storica di Birmingham del 1989. Guardando il video di lancio della F40 realizzato dalla Ferrari stessa nel 1987 (con un po’ di pazienza lo potreste cercare su YouTube, ed è un consiglio da non rifiutare).

In quel cortometraggio la 250 LM faceva da trait d’union tra la 125 S del 1947, cioè la prima Ferrari della storia, e appunto la F40. E quelle sue “forme molto femminili”, la facilità con cui il muso cambiava direzione “quasi come un animale che andava a caccia” sono state le cause del colpo di fulmine. Ormai la frittata era fatta, ma l’acquisto, rapportato al suo stipendio annuo di ottomila sterline, era un miraggio. Però Mr. X ha cominciato a nutrirsi di tutto lo scibile sulla vettura. E, tre anni dopo, alcuni giri a Silverstone su una 250 LM in occasione di un trackday organizzato dal Ferrari Owners’ Club, hanno solo peggiorato le cose.
A questo punto facciamo un salto in avanti. Nel corso degli anni la situazione professionale ed economica del nostro amico cambia in meglio e il suo garage personale si arricchisce gradualmente di pezzi interessanti. Tre decenni dopo il primo incontro con una 250 LM, finalmente il sogno ha possibilità di diventare realtà. Mr. X studia meticolosamente le candidate, si focalizza su un esemplare particolarmente blasonato in Inghilterra e, tre anni fa, compie la follia.

Si tratta della prima 250 LM ad aver vinto una gara internazionale: la 12 Ore di Reims del 5 luglio 1964. Schierata nei colori rosso e “Cambridge Blue”, dell’importatore Ferrari inglese Maranello Concessionaires. Al volante, Graham Hill e Jo Bonnier. Ma ha corso anche alla 1000 km di Monza, a Daytona e ha vinto pure a Snetterton e Kyalami.
È stata portata in gara anche da Denis Hulme, Mike Hailwood e Innes Ireland. E tra i suoi trascorsi c’è perfino un viaggio dall’Inghilterra a Le Mans. Perché le era stato assegnato il ruolo di vettura di riserva per l’allora proprietario Richard Attwood e il suo copilota David Piper alla 24 Ore del 1968. In anni recenti, l’auto era stata utilizzata in competizioni storiche, quindi montava accessori moderni necessari per correre (volante piccolo, sedili avvolgenti, estintore e altro). Ma il proprietario l’ha riportata esattamente come nel 64.
E già che c’era, ha montato anche la targa “1964 LM” che aveva acquistato anni prima, quando pensava che avrebbe potuto permettersi solo quella. La sistemazione, nonostante non siano stati necessari lavori radicali, ha richiesto circa un anno tra Inghilterra e Italia. E, comunque, nel frattempo l’auto è stata invitata al Festival of Speed di Goodwood e anche al Goodwood Revival del 2022.
In termini più generali, la storia della 250 LM è interessante anche perché rappresenta una svolta per il Cavallino. La fine della dinastia delle 250 da corsa, iniziata con la Tour de France del 1956. In quel periodo la risonanza delle gare per le vetture granturismo era forse superiore a quella della Formula 1 e della categoria sport prototipi. Oltretutto con soddisfazione dei costruttori, perché le gt erano simili ai modelli stradali in vendita al pubblico, quindi c’erano risvolti commerciali molto interessanti.

La Ferrari, all’epoca, poteva già vantare automobili di successo come la 250 Gto. Nate per fronteggiare Jaguar E-Type, Aston Martin DB4 GT e Shelby Cobra. La Gran Turismo Omologata non aveva nulla di rivoluzionario per i tempi, ma era robusta, affidabile, finiva le gare e aveva cominciato a vincere fin da subito.

Però per battere la concorrenza sempre più forte era necessario qualcosa di meglio. Così Enzo Ferrari decise di realizzare una nuova vettura prendendo come base la 250 P (prototipo) del 1962. Vincitrice del mondiale nel 63, montava un 12 cilindri simile a quello della Gto. Ma era spostato dietro l’abitacolo, secondo una tendenza ormai diffusa che, a Maranello, aveva tra i suoi maggiori sostenitori l’ingegner Mauro Forghieri.
Così, alla fine del 63 venne presentata la 250 LM, dove “elle emme” sta, ovviamente, per Le Mans. In realtà, secondo le usanze della nomenclatura Ferrari di allora, solo il primo esemplare costruito avrebbe potuto chiamarsi così. Perché aveva una cilindrata complessiva di 3 litri, quindi una unitaria di 250 cm3. Subito dopo la cubatura aumentò a 3,3 litri. Dunque la denominazione avrebbe dovuto cambiare in 275 LM, ma ormai l’auto si era fatta conoscere come 250 LM e il nome non fu più modificato.

A quel punto, però, ci fu una levata di scudi da parte degli avversari della Ferrari, i quali già avevano mal digerito che la 250 Gto fosse stata omologata tra le gt nonostante una produzione rimasta limitata a soli 36 esemplari, quindi molti di meno rispetto alle 100 unità previste dal regolamento. La federazione recepì le lamentele e di conseguenza omologò la 250 LM tra i prototipi, dove si trovò a competere con vetture molto più potenti.
Tra l’altro Enzo Ferrari, indispettito dalla decisione, per protesta fece correre gli ultimi due gran premi della stagione di Formula 1 del 1964 (nella quale vinse sia il titolo per piloti sia quello per costruttori) con i colori blu e bianco della scuderia americana Nart, anziché con il rosso istituzionale. La 250 LM rappresenta un salto in avanti prestazionale netto rispetto alla Gto, che però, secondo Mr. X, su strada si guida “come una bicicletta”.
La Le Mans fa pagare la maggior cattiveria con un carattere più scorbutico. La potenza cresce di poco – da 300 a 320 cavalli – però la coppia diventa ben superiore e il cambio non sincronizzato è difficile da manovrare, anche se quando si entra in sintonia dimostra di essere più veloce.

La frizione è più corsaiola e difficile da gestire se non si è in pista, specie nelle partenze in salita, e l’abitacolo non risulta davvero un esempio di comfort: prima di tutto perché, essendo avanzato per lasciare spazio al motore posteriore, è “invaso” dai passaruota anteriori, e poi perché i tubi del telaio servono pure per portare acqua e olio dai radiatori anteriori al propulsore, quindi all’interno le temperature sono elevate. E anche il rumore del V12 è molto più presente.
Sterzo e freni, invece, sono molto efficaci per la loro epoca e la maneggevolezza, sia in pista sia in strada, è sorprendente. Naturalmente di spazio per i bagagli non se ne parla. Per Mirko Venturi, ex pilota di vetture turismo e uomo di fiducia di Mr. X quando bisogna andare “a tutto gas” con la 250 LM, la prima grande emozione arriva dall’urlo del V12 che penetra nell’abitacolo tagliente come un rasoio. La posizione di guida si rivela da prototipo, non da granturismo, e il cambio è incredibile perché più si va forte, più diventa facile e veloce.

Secondo Mirko questa Ferrari può essere definita “una calza”, perché quando si entra in confidenza diventa un tutt’uno con chi la guida. È omogenea e bilanciata, sia sul lento sia sul veloce, ma resta comunque impegnativa. “I piloti che ci correvano negli anni 60”, spiega, “sicuramente si sono guadagnati tutto il loro stipendio, ma si sente che dietro c’è la mano di un progettista che sapeva bene il fatto suo”.

Ecco, il progettista. Mr. X è tuttora innamoratissimo della sua Le Mans. Entusiasta della scelta, non se ne separerà. Ha però un rimpianto. Non avere potuto passare più tempo con Mauro Forghieri, che è mancato a novembre 2022, per ascoltare direttamente i suoi ricordi della 250 LM.
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