
Sono tornato di recente al volante della Renault Clio Williams, una macchina che all’epoca della sua commercializzazione faceva sognare, me come tanti altri ventenni. Con il suo colore blu brillante su cerchi e finiture oro, ricordava la livrea delle monoposto Williams-Renault, mattatrici del Mondiale di F1 e sponsorizzate dalla Rothmans.

Più dei colori e del nome, a far sognare erano però i numeri, le prestazioni: 1998 cm3, 147 cavalli, 990 kg, 215 km/h e 0-100 in 7,7”. La Clio Williams nasceva come arma per i piloti privati nei rally: il programma era di produrne (in collaborazione con Renault Sport, che trasportò alcune tecnologie del suo motore F1 sulla testa del 4 cilindri F7R) 2500 esemplari per ottenere l’omologazione sportiva, ma alla fine ne furono prodotti ben 12.200 esemplari, da tante che furono le richieste degli appassionati.

Molte Clio Williams furono in effetti omologate in Gruppo A ed N (con potenza fino a 250 cavalli), a cominciare da quelle ufficiali dei vari Jean Ragnotti, Philippe Bugalski, Alain Oreille; ancora oggi si trovano egli esemplari iscritti a rally locali); ma tanti esemplari furono acquistati per essere goduti su strada e conservati religiosamente.


Al momento della presentazione la Clio Williams fu subito vista come una evoluzione ancor più sportiva della Clio 1.8 16v, ma in realtà, almeno su strada, era una macchina piuttosto diversa, quasi una piccola gran turismo. Una vettura di piccola taglia con cui si potevano fare anche lunghi viaggi ad andatura sostenuta con un buon livello di comfort grazie alla posizione di guida ben studiata, ottima abitabilità rispetto alle dimensioni esterne e sedili profilati senza eccedere e con materiali e imbottitura di ottima qualità.

E soprattutto in virtù di un motore, il 2.0 a 16 valvole, molto pronto nell’erogazione e assai disponibile anche ai bassi regimi, che su un corpo vettura così leggero permetteva riprese molto rapide anche nei rapporti superiori (13,4” per passare da 70 a 120 km/h in V). L’appassionato si godeva – e si gode – inoltre la strumentazione ricca, con indicatori bianchi su fondo blu, tachimetro, contagiri, indicatore benzina e termometro acqua e tre strumenti supplementari dedicati al lubrificante: indicatore della quantità, pressione e temperatura. Come su una gran turismo, per l’appunto.

Tuttavia la parte migliore e più divertente viene dalla guida su strade tortuose, dove la Clio Williams ancora oggi fa valere doti superiori in termini di precisione di sterzo, inserimento in curva, stabilità e tenuta di strada. Tolto il motore, la grossa differenza con la Clio 1.8 16v viene dall’avantreno preso dalla R19, che aumenta la carreggiata anteriore di 34 mm, e dall’uso di cerchi da 15” con canale da 7” anziché 6,5”, il che comporta una maggiore impronta a terra degli pneumatici.

Ciò ha portato come detto a una maggiore predisposizione a “girare”, con poco sottosterzo in ingresso di curva, il che ha permesso di mettere a punto un assetto meno nervoso al posteriore, a tutto vantaggio della stabilità della Clio senza intaccare la naturale maneggevolezza di un’auto che ha un interasse di 2472 mm a fronte di una lunghezza di appena 317 cm. Il cambio a 5 rapporti ravvicinati permette di avere sempre la marcia giusta, e d’altra parte un eventuale errore può sempre essere compensato dalla forza di erogazione del quattro cilindri.

Tuttora la Clio Williams ottiene molti nostalgici apprezzamenti, come abbiamo potuto notare anche dal gommista dove abbiamo montato quattro nuovi pneumatici Michelin Pilot Exalto PE2 della gamma Classic della casa francese (trovate un articolo in proposito sul nuovo Youngclassic 26, in edicola dal 13 agosto): i meccanici hanno fatto a gara per cambiarle le gomme e tutti l’hanno circondata per scattare foto, mentre anche i clienti delle auto di oggi chiedevano informazioni su un’auto che ricordano come una vera “piccola bomba” di un’età irripetibile. Che gusto, e che nostalgia!

In edicola il nuovo Youngclassic di dicembre-gennaio con in copertina tre Alfa rosse dotate del mitico V6 Busso
Quest'anno il Tunnel del Monte Bianco ha compiuto 60 anni: ecco le sfide ingegneristiche necessarie alla sua realizzazione