
Archivio YC 17, Testo di Marco Visani, foto di Massimiliano Serra
Il becco. Inizia dai primi centimetri, da quel suo musetto appuntito, il fascino di questa Slk. Che è ispirato direttamente alla Slr McLaren. O, se preferisci (e credo che tu, nulla togliendo alla mitica Slr, preferisca) alle monoposto di Formula 1. Una freccia che sa di velocità, e che avvolge – ricordati questo verbo: è altrettanto fondamentale, nella nostra storia – la stellona a tre punte cromata. Muso lunghissimo, abitacolo quanto basta per due persone, sedili a ridosso del retrotreno (leggi: delle ruote motrici), hardtop retrattile invece della capote che, a estate finita, la trasforma in un’autentica coupé. Cosa credevi che te la presentassimo a fare, sennò, una spider, ad autunno inoltrato?

Ci voleva una botta di quelle forti, per passare senza traumi dalla prima Slk, quella del 1996, al modello successivo. La R170, era questo il nome in codice della prima Mercedes-Benz sportiva, leggera e corta (Sportlich, Leicht und Kurz, da cui la sigla), portò un’autentica rivoluzione nel mondo delle scoperte: non solo era una roadster in sedicesimo e rendeva la classe del marchio disponibile a un’assai più ampia fascia di pubblico; era anche la prima auto di grande serie che, al posto della capote, montava un hardtop scomponibile a movimentazione elettrica che la rendeva realmente una quattrostagioni: roadster d’estate, coupé d’inverno.

Senza nessuno degli svantaggi della capote tirata su: stile meno aggraziato che da aperta, mantice che si gonfia in velocità, tessuto che può essere oggetto di vandalismo, specie in situazioni a rischio, tipo se la lasci due settimane nel multipiano dell’aeroporto. In più, elimina la necessità di acquistare l’hardtop a parte e di trovare un posto dove stivarlo durante la bella stagione (cosa non così banale, come sai se hai già avuto una decappottabile).

Ovviamente tutto quello che hai appena letto è valido anche per la R171, al secolo la Slk seconda generazione, che nella primavera 2004 ne raccoglie la difficile eredità. Come lo stile è tutto diverso, e passa dagli spigoli piuttosto vivi a forme molto raccordate, così anche la piattaforma è inedita: il passo è più lungo di tre centimetri, la rigidità torsionale è aumentata del 46%, quella flessionale del 19%.

La traduzione spiccia di queste aride cifre è che, se passi sui binari a un passaggio a livello, la sgradevole sensazione che ti si apra in due la macchina, tipica di molte decappottabili, è poco avvertibile. Rispetto alla “vecchia” è cambiato il sistema di ripiegamento della capote. Se sapere che è più veloce ti interesserà forse il giusto (22 secondi invece di 25 non sono una grande differenza), sarai forse più sensibile al fatto che l’articolazione della copertura abbia permesso un vano di carico niente male per una due posti scoperta: 220 litri a tetto giù, ben 300 sollevandolo.

La grande rivoluzione della Slk seconda maniera è però l’air scarf, letteralmente sciarpa d’aria: un getto di calore dalla temperatura regolabile che esce dalla base dei poggiatesta. A quel punto non avrai più scuse per non abbassare la “capote” perché siamo oramai a novembre: anche con climi poco temperati la tua Slk ti renderà gradevole un viaggio en plein air senza rischi di torcicollo o altri malanni (ora hai capito perché, poco fa, insistevo tanto sul concetto di avvolgente).
Una cortesia molto hi-tech di fronte alla quale altre finezze di cui pure la Slk è farcita passano in secondo piano, come l’avantreno a bracci oscillanti invece che a quadrilateri o la scatola guida a cremagliera in luogo che a circolazione di sfere. Magari non ti sembrano cose straordinariamente significative. Rispetto alle abitudini della marca segnano un significativo cambio di passo, però.

Gran parte delle Slk sono 200 Kompressor, cioè delle quattro cilindri milleotto con compressore volumetrico. A pochissimi fortunati capiterà tra le mani una “esagerata” Amg con motore V8. Come saggiamente dicevano i romani, in medio stat virtus. E secondo me la Slk ideale è infatti una V6, sia essa una Slk 350 (3,5 litri) o una Slk 280 come quella che ha posato per noi (o ancora una Slk 300, che è solo un modo diverso di chiamare la due e ottanta, che a dispetto della denominazione era comunque a sua volta una tremila). Indipendentemente dalla cubatura, è un signor motore in alluminio, con contralbero, 24 valvole, variatore di fase su aspirazione e scarico.

Esistono due serie della R171: quella originaria è stata rimpiazzata nel 2008 da quella leggermente ristilizzata. Interventi di poco conto: spoiler anteriore ridisegnato, aggiunta di un estrattore posteriore, indicatori laterali di direzione (quelli nei gusci dei retrovisori) a led, terminali di scarico a sezione trapezoidale, plastica delle luci di retromarcia più scura, diverso volante e grafica della strumentazione rinnovata, con una bordatura all’interno della quale ci sono i numeri, che prima lambivano il perimetro di tachimetro e contagiri. Meglio la prima o la seconda serie? Si equivalgono: te l’ho detto solo perché tu possa visivamente e agevolmente riconoscerle.

Una roadster Mercedes-Benz è più la prima cosa, che la seconda. Voglio dire: se per te una vettura di Stoccarda è sinonimo di comfort e viaggi rilassati, sappi che qui c’è più da divertirsi che da riposarsi. Specie se ha su (come la “nostra”) l’assetto Amg, è prontissima negli inserimenti e ha una tenuta laterale che permette di darci dentro sia sui tratti molto guidati che su quelli lunghi e veloci, con il supporto di uno sterzo sensibile e preciso che te la fa sentire sempre esattamente dov’è (e fidati: quando uno sterzo trasmette questa fiducia, sei praticamente costretto a innamorarti). Ovviamente tanto handling ha un prezzo: quello – ripeto, il discorso è riferito nello specifico al setup sportivo – di una risposta molto rigida delle sospensioni, amplificata dalle gomme ribassate che copiano fedelmente anche i sassolini che trovano sul fondo stradale. È un gran bel guidare, ma alla lunga può stancarti. Non ti stancheranno invece il motore, pastoso e progressivo; né il cambio, che sembra un Bmw tanto è preciso, corto e rapido negli innesti.

Generalmente affidabile, la Slk ha qualche piccolo difetto endemico e ricorrente. Il cambio manuale a sei marce (specie nei primi anni di produzione) tende a impuntarsi nel passaggio seconda-prima e viceversa, specie a freddo. Il trucco, banalissimo, per non sovraccaricare il sincronizzatore, è quello di innestare la prima solo a ruote ferme (come se fosse non sincronizzata, insomma).

L’impianto elettrico tende a soffrire soprattutto per quanto riguarda la chiusura centralizzata, il riscaldamento dei sedili, il sistema di navigazione e i cablaggi delle cinture di sicurezza. Se, nonostante la mia preferenza per la sei cilindri, ti orienterai su una Kompressor, sappi che ti assumi il rischio di dover cambiare il volumetrico, componente piuttosto delicato. E anche se il più delle volte è solo una molla la ragione dell’avaria, le officine in genere procedono alla sostituzione dell’intero componente (chiedendoti sino a 2000 euro contro i 400-500 che potrebbero bastare).
Meglio poi controllare bene il meccanismo di apertura e chiusura del tetto: rumori parassiti possono indicare un’imperfetta chiusura. Un lavaggio ad alta pressione è un sistema molto semplice ed efficace per verificare eventuali infiltrazioni di acqua nell’abitacolo. Lubrificare le guarnizioni con del silicone spray non ti garantisce che non avrai mai problemi. Ma quantomeno aiuta a tenerli alla larga.

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