Testo di Franz Mosconi
Le auto nel piazzale antistante l’Aula Magna del Politecnico di Torino sono quindici: quindici capolavori che sintetizzano con grande semplicità il tratto geniale di Marcello Gandini. Dalla Lamborghini Miura, il suo capolavoro (nel senso più letterale del termine, come poi ricorderà nella sua laudatio il Magnifico Rettore Guido Saracco), alla Maserati Quattroporte e la Lamborghini Diablo, ultimi capolavori e sogni inaccessibili per milioni di automobilisti.

Se le auto, come dicevamo, si possono contare, non lo sono le persone che affollano il cortile: centinaia di studenti attratti da quei sogni a quattro ruote, personalità del mondo dell’automobile, amici, parenti e semplici appassionati accorsi per tributare a Marcello Gandini un riconoscimento che, forse, arriva un po’ troppo tardi nei confronti della sua folgorante carriera nel mondo del design e dell’ingegneria automobilistica.
Marcello Gandini, nato nel 1938 a Torino da una famiglia di musicisti (il padre Marco era un noto direttore d’orchestra), fin da subito sviluppa un senso personale della ribellione al dogma istruttivo e istituzionale e, con i soldi fornitigli dal padre per acquistare un manuale di traduzione latina, acquista invece “Motori Endotermici”, un volume – quasi sacro per gli appassionati di meccanica – scritto da Dante Giacosa, il papà della Nuova 500. Terminati gli studi dell’obbligo, brillantemente conseguiti, peraltro, Gandini si dedica invece al car design, prima presso piccoli carrozzieri come Boano fino ad arrivare in Bertone, dove entra a dirigere il Centro Stile in sostituzione di Giorgetto Giugiaro, pronto ad iniziare la sua nuova avventura lavorativa in Ghia.

Nascono così auto da sogno e concept cars immaginifiche come la Lamborghini Marzal, l’Alfa Romeo Carabo del 1968, prima vettura con l’apertura delle portiere a forbice mediante un pistone idraulico, soluzione che verrà ripresa poi dalla Countach qualche anno dopo, la Stratos Zero del 1970 e la Sibilo del 1978. Durante la sua lectio magistralis, Gandini ha rivolto vari messaggi ai giovani di oggi. Il primo, fondamentale, riguardante la sua formazione scolastica, invitando i giovani “a ricavare dalle limitazioni e imposizioni un forte, caparbio e costruttivo senso di ribellione alle imposizioni stesse”.

Marcello Gandini rivolge anche un pensiero ai ragazzi del Politecnico e ai progettisti di domani sottolineando come “per progettare qualcosa di nuovo è necessario conoscere tutto ciò che è stato realizzato in passato, è un requisito obbligatorio per ogni futuro progettista” ricordando anche l’importanza di cercare il posto di lavoro adatto, sebbene sia sempre più difficile, dove le persone che si hanno intorno possano valorizzare e mettere in condizioni di lavorare al meglio delle proprie capacità e talenti. Nel ridefinire il concetto di automobile, “per metà tappeto volante e per metà casa, è liberta individuale” per sua stessa definizione, poi, Gandini, entra nel merito del suo ambito di principale applicazione, il design, definendolo “la prima forma di pubblicità di un auto: il design è comunicazione”.
Esce anche un Gandini inedito, filosofico, che eleva l’automobile – non senza ragione – ad uno dei più alti prodotti del genio umano: “L’Automobile è l’oggetto che più esalta l’unica vera invenzione dell’uomo, l’unico elemento non esistente in natura che l’uomo abbia ricevuto: la ruota. In natura esisteva l’aereo, ovvero gli uccelli, la nave, ovvero ciò che galleggia, l’elettronica, ovvero il sistema nervoso. La ruota no. C’erano massi e tronchi d’albero che potevano rotolare ma l’uomo ha aggiunto il perno e da lì ha mosso il mondo”.

Alla conclusione della cerimonia, a rompere il silenzio con la domanda che silenziosamente tutti i presenti si stavano ponendo è nuovamente il Magnifico Rettore Guido Saracco che chiede se la famiglia Gandini, rea di averlo mandato fuori di casa dopo le scuole superiori in quanto ribelle al dogma istruttivo paterno, dopo tanti successi automobilistici lo avesse riammesso in casa: “Quando ho raggiunto i successi ero già autonomo e indipendente. Però mio papà venne al Salone di Torino a vedere la Miura e mi fece i complimenti. Fu una grande soddisfazione”.
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