Maggio 1963: nasce la Automobili Ferruccio Lamborghini. La data è scolpita nella storia dei motori italiana e mondiale. Segna uno spartiacque, uno dei tanti, nella vita magnifica e avventurosa del celebre fondatore.
Il respiro di Lamborghini, l’impronta del suo piede contadino, la forza della sua intelligenza sottile, tutto questo aleggia ancora forte sul reticolo di strade, campanili e campi coltivati che disegnano le coordinate del nostro viaggio commemorativo. Il senso ultimo della sua esistenza si aggira ancora tangibile tra le pievi e sotto i portici di questi paesi e paesoni che punteggiano la terra dei motori.
Perché Ferruccio è stato un uomo formidabile, un impasto miracoloso tra valori ancestrali come la terra e la famiglia e una gamma sterminata di visioni futuribili, con un modo di essere imprenditore dettato dalla fede cieca che egli riponeva nella tecnologia e nella meccanica. Terra e tecnologia, quindi. Invariabilmente lavori ben fatti. Nelle mani di una mente brillante e operosa, sostenuta da una comunità che ancora oggi, a trent’anni dalla morte del suo più illustre esponente, ricorda il suo lavoro e la sua persona con gratitudine e commozione.
Un viaggio, e non solo metaforico, è quello che abbiamo avuto il privilegio di fare in questo anniversario fatto di bellezza e potenza. Renazzo, Cento, Funo di Argelato, Dosso, sul confine sottile tra le province di Bologna e Ferrara, sono i luoghi da cui l’iniziatore del marchio del Toro è partito alla conquista del mondo, ambasciatore di un’Italia straordinaria, una nazione creativa e competitiva, nel senso migliore del termine. Pronta a risollevarsi dalle macerie e a diventare, tra tutte le luci e ombre del caso, la casa di storie imprenditoriali che spesso, quando osservate nella loro interezza e attraverso il filtro della Storia, assomigliano al corpus di lavoro di un grande artista.
È quindi da un museo, il Museo Ferruccio Lamborghini a Funo di Argelato, che è partito il nostro percorso. Con una guida d’eccezione: un altro Ferruccio Lamborghini, figlio di Tonino e nipote di Ferruccio “senior”.
Il giorno minaccia pioggia fin dal mattino, ma il nostro accompagnatore non sembra preoccuparsi troppo. “Oggi comunque, pioggia o non pioggia, andiamo con la Miura SV del nonno, quella che mi ha lasciato quando è venuto a mancare. Sul libretto il passaggio di proprietà va da Ferruccio a Ferruccio, non so come mio padre sia riuscito a non far comparire il suo nome visto che io all’epoca avevo circa due anni… Comunque questa inattesa continuità è per me una cosa davvero bella, una delle tante”.
Il senso della continuità. Che grande risultato. La profondità di una storia di cui i pezzi non sono andati dispersi neanche attraverso una miriade di rivolgimenti industriali e personali. E questa gravitas gioiosa è tutta da ammirare attraverso l’itinerario coerente e affascinate che si sviluppa sotto i tetti industriali del museo, ricavato da quella che un tempo era la sede della Lamborghini Oleodinamica SpA, una delle numerose imprese di successo della famiglia.
Girare il museo guidati da Ferruccio “junior” è un piacere. A trentadue anni, ha evidentemente assorbito con pienezza l’importanza della sua storia familiare e il suo narrare è un rimando continuo, tra orgoglio e senso di responsabilità, a un passato allo stesso tempo romantico e concreto. Il suo racconto è pieno di piccoli aneddoti e accortezze. Nutre una profonda affezione, come il nonno, per i trattori, quei veicoli agricoli da cui nel secondo dopoguerra è partito tutto.
“Questi, dipinti di arancione e blu, sono quelli anni 60. Un successo straordinario che davvero ha contribuito a cambiare l’economia della nazione… Nel tempo ho capito l’importanza che ha avuto la Lamborghini Trattori per la famiglia e per il Paese. Poi ovviamente là ci sono, ci mancherebbe, la Countach e la Jarama, la Urraco e la Espada, la Fiat “Topolino” Barchetta modificata con cui ha partecipato alla 1000 Miglia nel 1948 e l’offshore in alluminio, da quasi 2000 cv, che ha vinto 11 campionati mondiali. Sono tutti oggetti di grande peso culturale. Ma i mezzi agricoli, che passione! Anche quando è avvenuto il restyling di fine anni 60, primi 70 proposto da mio padre, con il passaggio alla colorazione biancoblu, il successo è continuato al punto che lo schema cromatico è stato mantenuto a lungo, ben oltre il coinvolgimento della nostra famiglia”.
E da questo tripudio di meccanica e stile emerge magnifica, essenziale, la Miura SV di famiglia: la nostra fotomodella per un giorno si lascia ammirare, splendida e acquattata per qualche scatto posato, da alcuni visitatori del museo che fremono educatamente nell’attesa che venga messa in moto.
“Motore 12 cilindri di quattro litri, cambio a cinque marce, cofani anteriore e posteriore in alluminio. Posso dire che, al di là delle apparenze, la Miura è sempre morbida e ogni volta che ci salgo sopra rimango colpito dalla guidabilità. Il nonno, che in quanto figlio del suo tempo era un grosso fumatore, amava fare la prova della sigaretta. Ne metteva una in verticale sul coperchio del filtro del 12 cilindri a V trasversale, facendolo girare al minimo invariabilmente s’inorgogliva nell’osservare come la sigaretta non cadesse. Quel motore è davvero bilanciatissimo e, malgrado quest’apparenza da animale selvaggio, t’invoglia ad andare a un passo da signore, spedito ma aggraziato.”
Fuori dal museo, nel frattempo, una bella brezza di campagna ha spazzato via le nuvole. Chiediamo a Ferruccio se e quanto fosse preoccupato della pioggia. “Non molto, in realtà. ll nonno ha vissuto molti anni, quelli conclusivi della sua vita, nel suo buen retiro umbro, e questa è la macchina con cui di solito amava girare per la tenuta, tra i filari delle vigne, su e giù per strade sterrate e sconnessioni varie. La tirava fuori e… via per le strade bianche! Ha 385 cavalli, ma volendo davvero si guida senza troppe accortezze, come un’auto di tutti i giorni”.
E quindi si parte, a passo rilassato naturalmente, secondo le direttrici di questi luoghi che costituiscono il cuore pulsante della vita di Lamborghini. “Vedrete cosa succede. L’effetto che quest’auto ha ancora sulla gente. Ogni volta mi lascia di stucco”, dice Ferruccio con un accenno di sorriso e scuotendo leggermente la testa.
La nostra prima meta è Cento, che è uno degli epicentri della vita dell’illustre parente, la cittadina in cui lui, classe 1916 e figlio di contadini discretamente benestanti, poté primo tra tutti studiare presso il rinomato Istituto D’Istruzione Superiore Fratelli Taddia, che rappresenta la nostra prima vera tappa sulle tracce del passato. E allora gli studenti, le bidelle, i passanti, tutti a riversarsi in strada per la Miura, con la preside che a fatica cerca di convincere le decine di teste affacciate alle finestre a tornare ai loro banchi.
“Cosa vi dicevo…”, commenta il nipote. Questo misto di affetto e meraviglia, la commozione dei più anziani che girano le loro bici e abbandonano le piccole attività quotidiane per accostarsi all’auto, sarà la costante della nostra giornata. Quasi tutti hanno un ricordo da condividere, un’espressione dialettale carica di molteplici significati: meraviglia, gratitudine, divertimento e rimpianto per un’epoca che non tornerà.
Il fenomeno nostalgia assume proporzioni non trascurabili sulla piazza di Renazzo, paese natale di Ferruccio Lamborghini. Arrivano, come se ci fossimo dati un appuntamento in realtà inesistente, il figlio del carrozziere che per l’imprenditore lucidò questa rossa sportiva con i cerchi dorati decine di volte, un signore eccentrico e brillante che oggi ha trasformato in albergo la grande casa dove veniva regolarmente ospitato per conversazioni e mangiate, l’ex operaio che ricorda la famiglia della nonna, la signora Annita Borgatti.
“Il nonno ha avuto una prima moglie, Clelia, conosciuta quando era militare a Rodi durante la guerra e già lavorava su mezzi meccanici. Lei era la nostra nonna naturale ma purtroppo è venuta a mancare giovanissima nel dare alla luce nostro padre, nel 1947. Dopo questo triste lutto il nonno ha conosciuto la sua seconda moglie, Annita, che ha cresciuto il papà come una madre e ha accompagnato il marito nella costruzione del mito Lamborghini. Ferruccio era l’estro, il vulcano che non cessa mai di ribollire. Annita invece, che di lavoro faceva la maestra, era quella che aveva in mente tutti i numeri: una figura che oggi in azienda corrisponderebbe al cfo e che si è rivelata fondamentale per raggiungere il successo. Come spesso succede c’è stata una grande donna, rigorosa e intelligente, al fianco di un grande uomo”.
A Renazzo, ancora oggi completamente circondata dai campi coltivati, è tuttora presente la casa natale di Lamborghini, con tanto di targa. Oggi è abitata da una famiglia con cani e bambini che, appena vista la Miura, ci ha aperto il cancello con l’entusiasmo e l’evidente emozione che ci stanno accompagnando fin dal momento in cui abbiamo lasciato il museo di Funo. Una vecchia trattrice (indovinate di che marca), rimasta lì da sempre, siede ancora sotto a un albero tra due altalene, in un rimando tra passato e futuro da cui queste terre sembrano essere necessariamente segnate.
Non sempre è stato tutto felice e lineare, nella vita di Ferruccio “senior”. Gli anni della contestazione, in cui lui, genuino uomo del popolo e della terra, venne fortemente osteggiato dagli operai in quanto “padrone”, costituirono un periodo di notevole amarezza, una disillusione che alla fine lo spinse a ritirarsi nella sua amata campagna.
“Il nonno, per tutti i suoi successi e la sua ambizione”, continua Ferruccio, spingendo più su di regime il 12 cilindri, “si considerava quasi più ‘comunista’, mi si passi il termine, degli stessi che lo contestavano. E quando, negli anni caldi, venne fatto di tutt’erba un fascio, senza che gli fosse riconosciuta quella disponibilità al dialogo che lo aveva da sempre contraddistinto, ci rimase davvero molto male. Ma adesso vi porto in un altro posto, a Dosso, in aperta campagna, dove veniva a fare i suoi brain storming solitari quando qualche nuova idea si affacciava nella sua testa e l’inseguirsi dei pensieri aveva bisogno di essere messo in ordine”.
Il sole ora si sta abbassando sui campi perfetti dell’Emilia e sul rosso fuoco della carrozzeria. Filiamo via bassi e veloci sull’asfalto delle strade di campagna, dove l’auto lascia cantare il suo meraviglioso propulsore, con i furgoncini sulla via di casa che dopo una giornata di lavoro ci sfanalano e ci suonano il clacson. Una Miura, le sue perfette condizioni e alcuni piccoli segni lasciati dal tempo, testimonianza di una vita vissuta a pieno, che Ferruccio “junior” e suo padre Tonino hanno saputo preservare con sapienza e gratitudine.
Testo Matteo Sartori – Foto Leonardo Perugini
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