
Testo Marco Visani, fotografie Alessandro Olgiati
“Onestamente, più che lei, preferirei avere al mio fianco una bella ragazza“. Il dialogo si svolge mercoledì 14 novembre 1984 nell’abitacolo di una Maserati Biturbo Spyder al Salone di Torino. Il primo organizzato nell’ex fabbrica Fiat del Lingotto. Alejandro De Tomaso, che – da passeggero – sta spiegandone i segreti all’illustre ospite.
Il quale, pur non avendo nemmeno la patente, si è lasciato stregare dalle sue forme e, sovvertendo (come sua abitudine) il cerimoniale, ha preteso di sedersi al volante. Il “guidatore” è il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Con le Maserati, lui, ha un feeling particolare: ha infatti scelto una Quattroporte come auto ufficiale del Quirinale.
L’aneddoto, riportato nel (bellissimo) libro di Claudio Ivaldi “Maserati, L’era Biturbo”, uscito qualche tempo fa, è utile a entrare con leggerezza nel mood degli anni Biturbo. E di leggerezza qui ne serve, nel senso che quest’auto – intesa come modello nel suo insieme, coupé o decappottabile che fosse – è stata preceduta per anni da una poco invidiabile fama di “spaccamotori”, figlia di alcune difficoltà che effettivamente ci sono state.

Ma che hanno riguardato solo i primi mesi di produzione della due porte chiusa. Siccome però i pregiudizi sono duri a morire, la taccia è rimasta. Bene. Sappi che è il momento di scrollarla via, perché oggi puoi goderti in tutta serenità le tantissime qualità di una vettura assolutamente fuori dagli schemi.
Il nome Embo probabilmente non ti dice niente. È normale: era una piccolissima carrozzeria di Caramagna, in provincia di Cuneo, che collaborava con il Gruppo De Tomaso (di cui la Maserati era parte dal 1976) per costruire le carrozzerie di alcuni modelli: Pantera, Deauville, Longchamp e Kyalami. Al Salone del 1982 viene esposto un prototipo di Biturbo Spyder fatto proprio da loro. La macchina “vera”, quella messa in produzione, leggermente differente, è invece firmata dalla Zagato.
Diversamente dalla coupé, alla cui lastroferratura provvedeva la Innocenti di Lambrate (altra stella del firmamento De Tomaso), la sua scocca la faceva proprio la Zagato, che poi la spediva a Modena per montarci la meccanica. Erano tredici anni che una Spyder (guai a te se lo scrivi senza la “y” alla Maserati si è sempre usato così) non era nel listino della marca.

Ovvio: facevano quasi solo gt a motore centrale. E vaglielo a incastrare tu, un vano portacapote, sopra il motore. Tra i tanti meriti della gestione De Tomaso, al netto del carattere spigoloso e non proprio empatico dell’imprenditore di origine argentina, ci fu anche questo inatteso e gradito ritorno a un modello guidabile con i capelli al vento (e per chi ne fosse sprovvisto, va bene anche il cranio nudo).
Si fa presto a dire Biturbo Spyder. In realtà sono esistite anche delle Spyder senza il Biturbo, nel senso del nome, che dal 1990 venne abbandonato malgrado la vettura fosse rimasta sostanzialmente la stessa, pur con una girandola di varianti di fronte alle quali anche i nerd del modello rischiano di perdersi. Cerca allora di seguirmi e concentrati sulla Biturbo Spyder prima maniera, quella che ci ha fatto da modella per le foto.

Intanto, tra il dire e il fare (il prototipo, la macchina buona – quella che “provò” Pertini – e le prime consegne) ci sono di mezzo tre anni e passa. Le prime auto vengono targate nell’estate 1985, dunque se ti propongono una Spyder precedente è un tarocco. Per gran parte della sua esistenza la Biturbo senza tetto è stata prodotta con il motore a iniezione.
Solo questa serie originaria ha ereditato dalle coupé prima maniera l’alimentazione a carburatore. E usa il singolare anche tu, perché ce n’era uno solo, un Weber doppio corpo da 36. In soldoni, significa due litri (le over 2000 vennero vendute quasi esclusivamente all’estero), due turbine a gas di scarico, 180 cv e 18v, tre per cilindro (due delle quali di aspirazione). Negli anni la potenza sarebbe gradualmente cresciuta sino ai 241 cavalli della Spyder 2.0 4v (che ti dicevo, prima, sul fatto che ci sono state delle… Biturbo non Biturbo?).
Come ogni Biturbo successiva al 1983, anche la Spyder “Mk1” monta il Mabc (Maserati Automatic Boost Control): è il sistema che gestisce la sovrapressione fungendo anche da limitatore di giri. Sono quelle quattro lettere che ti mettono al riparo dai rischi di rottura cui accennavo all’inizio anche se, a differenza delle coupé S, qui ancora non ci sono né l’intercooler né il radiatore dell’olio. Molto avanti per la sua epoca quanto a motore, dal punto di vista telaistico la Biturbo è invece una vettura piuttosto ordinaria.

In più la Spyder ha un passo accorciato di 11,5 cm. Morale: ha uno sterzo non molto progressivo, un assetto più da berlina che da sportiva e un retrotreno senza barra antirollio, e quindi ballerino. Se ci sai fare può anche divertirti, mentre se non sei un po’ smaliziato ti gela la schiena più del climatizzatore impostato a 18 gradi. Rispetto alle versioni a iniezione, una a carburatore è più difficile da regolare, più sensibile alle variazioni di temperatura ma ha un sound che… al diavolo quello che hai appena letto.
Le ruote in lega sono una delle parti più controverse della Biturbo Spyder. Sino al 1990 monta gli stessi cerchi che erano stati inaugurati nel 1984 con la coupé S e le Biturbo berlina, però con la parte centrale coordinata con il colore della carrozzeria, successivamente diventata nera come sulle S e Si.
Eppure circolano alcune Spyder, come anche la “nostra”, con i cerchi monocromatici argento, sicuramente più eleganti e verosimilmente applicati alla vettura sulla scorta di una richiesta speciale fatta alla fabbrica in occasione dell’ordine. Eventualità nient’affatto strana per un modello che, nelle cinque versioni in cui è stato concepito (Biturbo Spyder, Biturbo Spyder 2.5, Spyder i, Spyder 2.8 i, Spyder 2.0 4v) è stato realizzato in appena 3076 esemplari.
È una delle rare scoperte della sua epoca in cui non piove dentro: la capote è fatta bene. Ed essendo manuale sarà meno scenografica, ma ti risparmia un sacco di complicazioni. I rivestimenti in pelle, che diventeranno di serie più avanti ma che sono montati sulla quasi totalità delle vetture prodotte – quindi anche su una “carburatore” – sono di grande qualità e non ti faranno spendere grandi cifre per il ripristino.

La carrozzeria, però, riserva alcune insidie. La Spyder è una tra le pochissime Biturbo a montare un deflettore fisso sulla porta: impossibile cannibalizzare una coupé o una berlina per il ricambio, mentre invece si può “trapiantare” quello di una 228.
Anche il cofano del vano bagagli non è intercambiabile con quello delle altre versioni, idem dicasi per i lamierati dei parafanghi posteriori, più corti a causa della riduzione dell’interasse. La scatola portafusibili provoca dei blackout: se salta l’azionamento del condizionatore si scollegano anche gli alzacristalli elettrici.
Gli ammortizzatori si scaricano se la usi poco e le boccole dello sterzo si deteriorano facilmente (ma tanto coincidono con quelle della Fiat Croma…). Se non vuoi rogne dal V6, adotta il buon vecchio trucco: lascialo girare al minimo per mezzo minuto prima di spegnerlo dopo avergli tirato il collo. Vedrai che la tua Maserati Spyder non romperà il motore. E l’unica vera rottura sarà quella di scatole, da parte di chi è convinto del contrario.
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