
A cura di Marcello Mereu
Il giorno dell’appuntamento, alle 8 in punto avverto un colpo di clacson all’ingresso, mi dirigo ad aprire la serranda dello studio e vedo davanti a me una Testarossa color grigio medio, con interno beige. Sulla mia faccia si stampa un sorrisone da Stregatto di Alice nel paese delle meraviglie, perché adoro le Ferrari di colori speciali. Saltellante di gioia, posiziono l’auto in sala di lucidatura, dove appositi faretti sul soffitto e puntati sulla carrozzeria aiutano a mettere in evidenza i difetti di superficie come graffi e aloni.

L’auto ha pochissimi chilometri e rilevo una condizione di superficie abbastanza buona. I difetti presenti sono lievi, si manifestano in una leggerissima opacità, segnale di una manutenzione abbastanza corretta – in generale, le Ferrari di quell’epoca erano a smalto diretto, qui invece c’è un bistrato, ovvero colore metallizzato con il trasparente protettivo – la verniciatura è ben eseguita, nonostante le svariate dicerie su Maranello a quei tempi, il lavoro è ben fatto.
Fotografo l’esterno dell’auto nei minimi particolari, cercando di catturare i difetti, non tanto con la prospettiva del “prima e dopo” per i social, quanto per avere la catalogazione nel mio archivio dei problemi sulle superfici. La rilevazione dei difetti è un processo necessario per preparare un detailing mirato alla loro risoluzione, sul mio operato sventola la bandiera del “non si lavora in maniera standard”.

Finito il processo di analisi, inizio a lavare l’auto molto delicatamente con acqua leggerissimamente saponata. Un’enorme microfibra mi aiuta ad asciugare senza creare graffi. Rifinisco eventuali sbavature d’acqua con due microfibre morbide e laser cut. Ora è tempo di nastrare gli spigoli e le arie della vettura, perché nella lucidatura delle Ferrari, soprattutto di quest’epoca, proteggere col nastro di carta non è solo consigliato ma obbligatorio, perché i volumi che esprimono la sua sportività sono affusolati e schiacciati con alcuni spigoli ben definiti, caratteristica del design fine anni 70. Spelarli è un attimo.
Inizio a lucidare. Parto da tamponi morbidi perché i difetti sono leggeri e omogenei e non è necessario usare forti abrasivi o tamponi in lana che sono molto più “taglienti”, cioè tolgono più materiale dalla superficie; la correzione dei difetti si ottiene abbassando il trasparente e tale processo restituisce la lucentezza, ma bisogna ricordarsi che il materiale steso sull’area è espresso in micron, su una carrozzeria parliamo di medie di 90/140 micron, se un capello ha uno spessore di 65 micron, capite che essere delicati è obbligatorio, soprattutto con le vetture d’epoca e youngtimer.
Il secondo giorno di lavoro inizia prestissimo, quando arrivo in studio la luce dell’alba che entra dalle finestre è fredda e metallica, nella tonalità della Ferrari. Oggi lavoro sulle le superfici verticali, quindi sostanzialmente passando la giornata su uno sgabello imbottito: queste zone sono meno estese, devo utilizzare lucidatrici di dimensioni più contenute, il lavoro si allunga, ma il risultato sarà spettacolare.
Comincio dalla coda alta e massiccia della Testarossa, per dirigermi poi sulle portiere caratteristiche dell’auto con la gigante presa d’aria a lamelle, tipo Mazinga Z. Qui inizia il lavoro di cesello, sono verniciate come la carrozzeria, prendo le mini lucidatrici e comincio: le lamelle verniciate sono praticamente un lavoro doppio, perché di fatto c’è un sopra e un sotto.
Il terzo giorno è dedicato alla pulizia del motore. Archiviata la lucidatura inizio con la pulizia millimetrica del vano. Preparo un carrello d’acciaio tirato a lucido e ci metto tutti gli strumenti necessari per iniziare. Il detailing non prevede il lavaggio del motore con l’idropulitrice, quindi gli ingredienti base sono la pazienza e una buona dose di microfibre nere, una per ogni diverso materiale che compone il motore.

Una manciata di umidità, sempre calibrata con la temperatura dell’acqua, mi aiuta a sciogliere gli strati di grasso e di polvere. I fianchi spessi della Testarossa non aiutano, quindi li ricopro con enormi microfibre per salvaguardare la lucidatura già fatta. Passo l’intera giornata con una luce in testa a decontaminare da polvere, grasso non necessario, insaponare plastiche, inumidire e asciugare con le micro, a fine lavoro il motore riacquista uno stato di ordine totale, quasi come se fosse uscito dalla fabbrica. Detesto questo modo dire perché per me esiste il curato e il trascurato, ma devo dire che il risultato è notevole, quasi pari al nuovo!
Il quarto giorno mi dedico all’interno dell’auto, dove avevo rilevato una certa secchezza della pelle, che è un meraviglioso esempio di made in Italy dei ruggenti, boomerissimi anni 80. L’abitacolo è ben conservato anche perché l’auto ha soltanto 17mila chilometri: nessun odore di muffa, ciò significa che questa Testarossa è ben ricoverata, lontana dall’umidità e in un posto molto ben arieggiato.
Superata la prova del mio naso severissimo, inizio a illuminare con una lampada a luce calda, osservo l’abitacolo in ogni minimo dettaglio, contestualmente inizio ad accarezzare la pelle, dapprima i sedili, poi la plancia, successivamente pannelli porta. Toccare la pelle mi aiuta a capire meglio un manufatto che sta combattendo col tempo, il suo grado di senescenza e che tipo di intervento fare. Qui appare
evidente che la pelle è secca e, anche se la Ferrari ha pochi chilometri ed è e trattata bene, la finitura superficiale della Connolly inizia a deperire lentamente, soprattutto sui colori scuri si forma una leggerissima patina chiara che è data dal deperimento del pigmento.

La sentenza senza appello è quindi: restauro! Mettere in opera questo lavoro aggiuntivo comporta un incremento del budget che il cliente approva. Trattare la pelle mi dà una gioia immensa, mi sfrego le mani e prima di iniziare qualsiasi operazione bisogna aspirare! Perché non si lavora bene in un ambiente polveroso. Ogni detailing interno si apre e si chiude con l’aspirazione.
Ora posso occuparmi della pelle. Essendo l’auto molto ben tenuta, questa non è particolarmente sporca, opto per un lavaggio senza schiuma e spazzola, anche perché utilizzare una spazzola e detergente schiumogeno su una Connolly che sta invecchiando corrisponde a un attacco con artiglieria pesante, si fanno più danni che altro.
Inumidisco una mircofibra morbidissima dentro acqua e detergente neutro, strizzo energicamente e passo in maniera superficiale, facendo la massima attenzione e evitando qualsiasi pressione. Non scendo nei dettagli più confidenziali dei segreti del restauro, di certo non metto colore sui sedili, perché aborro le riverniciature soprattutto sulle poltrone; sono cose da garage americano, questa Ferrari è tenuta bene e io devo solo preservare la sua bellezza e fermare l’incessante scorrere del tempo. Se mettessi colore creerei un falso storico.
La giornata si conclude dopo un incessante lavoro di recupero della pelle, che ora appare di colore uniforme, l’abbinamento nero/beige dell’abitacolo è ora curato, ma deve riposare almeno fino a domani mattina, apro gli sportelli e alzo il riscaldamento dello studio. Il grasso deve fissarsi in maniera stabile.
Quinto e ultimo giorno, oggi è il tempo della super finitura, un processo in cui si ricontrollano tutti i processi dei giorni scorsi, dalla lucidatura alla pulizia del motore fino alla pulizia dell’abitacolo e il restauro della pelle. Per farlo cambio prospettiva o meglio cambio fonte di illuminazione e metto l’auto nel tunnel di led, che mi permette di vedere ogni piccola sbavatura nelle lavorazioni.

Ora riesco ad apprezzare il gloss ritrovato nella carrozzeria e intravedo la pelle dell’abitacolo che ha un aspetto turgido e satinato, grazie al restauro a grasso che ha riposato tutta la notte. Inizio il processo di superfintura sotto l’accecante artificiale luce a led del tunnel, che mi porterà a fine giornata a riconsegnare l’auto in forma smagliante, dopo essere stata incerata e ricontrollata al millimetro. Il risultato è impeccabile, la Testarossa appare alla luce naturale come fosse forgiata nel metallo fuso. Una splendente Katana “grigio ferro”.
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