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Dino Cognolato, un restauratore molto speciale

di Redazione - 01/09/2023

È piuttosto chiuso ed estremamente complesso da intercettare. Erede di una lunga dinastia padovana di carrozzieri, Dino Cognolato, classe 1939, ne rappresenta l’essenza: la sua fama e la sua bravura sono pari solo alla sua riservatezza. Da sempre considerato un riferimento nel suo settore, non ama affatto rilasciare interviste, ma ci concede un po’ del suo preziosissimo tempo perché “se la divulgazione serve a costruire e alimentare la cultura, allora va bene”.

Le origini da disegnatore meccanico

Il signor Dino esordisce con quello che possiamo definire il suo manifesto: “Non c’è nulla di un’auto storica che non possa essere riparato con mezzi artigianali. L’unica condizione è che l’artigiano si senta, pensi e agisca come chi l’ha costruita, ricercando in modo maniacale tutti i riferimenti e i documenti storici, perché lo scopo di ogni restauro è ripristinare lo stato di perfezione originale in cui ciascuna di queste meraviglie ha lasciato le officine di Maranello, di Modena o di Torino. Niente di meno, ma anche niente di più”. Questo lavoro richiede tanta audacia quanta umiltà, tanta immaginazione quanto rispetto: “Dopo il restauro, un’auto d’epoca dovrebbe conservare tutti i piccoli difetti legati all’età e all’uso, nel metallo, nelle cromature, nella selleria e ovunque, perché fanno parte della sua storia e della sua vita. Sono testimonianze che non devono andare perdute, altrimenti si ottiene un’auto nuova, ricostruita oggi”.

Il suo percorso parte da lontano: com’è cominciato?

“Il nonno, papà, gli zii e mio fratello erano tutti carrozzieri. Io facevo il disegnatore tracciatore alle Officine Meccaniche della Stanga. Nel 1964 aprii una mia carrozzeria a Padova, proprio in centro città, che attirò subito diversi clienti con vetture molto particolari, da trattare con cura. E a quel punto capii che avrei fatto qualcosa di nuovo e che nel mio futuro non c’erano le auto, diciamo… normali”.

Quando arrivarono i primi “relitti”?

A quei tempi non c’erano le automobili d’epoca come le intendiamo oggi: c’erano macchine vecchie, quasi sempre rottami, che provenivano dai campi di demolizione. E non esisteva letteratura o documentazione: la cultura del restauro avrebbe impiegato molti anni prima di affermarsi. Il mio primo lavoro fu quello di un’Aprilia. Poi arrivarono tante altre Lancia, fino alla Ferrari di un cliente molto esigente, un noto architetto padovano conosciuto anche per la sua pignoleria, che, soddisfatto del risultato, mi segnalò alla famosa (anche se devo ammettere che allora non l’avevo mai sentita nominare!) officina Michelotto, legata già a quei tempi alla Casa di Maranello. Allora mi interpellarono per una 250 GT Swb di un orafo vicentino: era tutta d’alluminio e non sapevano metterci le mani. Mi chiesero un preventivo non facile da stilare… dissi due milioni e mezzo di lire, presi il lavoro, ma la fattura finale fu di 25 milioni. Che il cliente pagò con grande soddisfazione! In quel momento è iniziato il passaparola che mi ha portato dove sono oggi”.

Oggi la cultura del restauro di auto d’epoca è un fatto. Come la si trasmette ai giovani?

Io ho sempre creduto nella formazione, che in un lavoro particolare come il nostro è molto importante. La porto avanti da tantissimi anni con ragazzi che arrivano da carrozzerie tradizionali, dove la routine prevede lo smontaggio e la sostituzione dei pezzi: non sanno nulla di saldatura e non conoscono il disegno tecnico. È normale, quindi, che si scoraggino, che pensino di non farcela. E allora sto loro vicino, motivandoli, riprendendoli quando è necessario, ma sempre con delicatezza. Ancora oggi seguo personalmente i nuovi arrivati, cercando di trasmettere 60 anni di esperienza e insegnando loro le varie tecniche”.

E, come ogni buon maestro, assegna i compiti?

Ogni giorno mezz’ora prima della fine del turno devono scrivere quello che hanno fatto e che hanno appreso su un quaderno personale. Alla mattina, insieme, commentiamo e rivediamo i punti su cui hanno avuto difficoltà o dubbi. Ritengo che solo così si possano sentire veramente seguiti e motivati a crearsi una professionalità che regalerà loro grandissime soddisfazioni. Anni fa, un mio addetto mi chiese se potevo assumere suo fratello. Il giovane cominciò a lavorare, ma dopo un paio di settimane non si presentò perché era convinto di non farcela. Insistetti e il fratello lo convinse a tornare: oggi è il migliore dell’azienda”.

I collaboratori sono decisivi nel successo di una squadra. Cosa li tiene così uniti, nella sua carrozzeria?

“Il fatto che siamo come una famiglia: ognuno di loro non è un operaio, ma una persona che viene coinvolta in quello che fa con me e con gli altri. Conosco quasi sempre la moglie, la sorella o qualche loro caro ed è molto importante mantenere questo rapporto. Naturalmente i figli o la moglie vengono sempre in carrozzeria a vedere cosa sta facendo il papà o il marito. Non ci sono segreti di sorta ed è questo l’aspetto che rende i nostri collaboratori delle persone orgogliose di lavorare da noi. Solo questo spirito di gruppo ci permette di portare a termine restauri in grado di soddisfare appieno i clienti, che oggi fra l’altro sono diventati molto preparati e molto esigenti”.

Un “affare di famiglia”

Non per caso, dunque, Dino Cognolato ha coinvolto nell’attività della carrozzeria Nova Rinascente di Vigonza (PD) i suoi due figli. Ed è inevitabile finire a parlare di ricambio generazionale. Chiediamo a Roberto, il minore dei due, come è stato vissuto il passaggio di consegne: “Papà ha lasciato volentieri le redini dell’azienda a me e mio fratello Paolo. C’è sempre molto da fare, ci sono idee da sviluppare, progetti su cui correggere il tiro. Lui ha mantenuto una piccola quota nella società, ma non mette il naso in tutto quello che è moderno… Invece i restauri, alla fine, anche se non sembra, li segue: controlla tutto, in silenzio e con assoluta discrezione. Magari il lunedì mattina ti chiama per dirti ‘guarda che state facendo una cosa che secondo me non va tanto bene’ oppure ti dà un consiglio. In questo è unico. Per il resto, siamo cresciuti in azienda: i dipendenti mi hanno sempre visto lì anche quando studiavo. Il pomeriggio, al sabato, alla domenica… quando non ero in moto con gli amici!”.

Quali sono le principali sfide che affrontate oggi nel restauro e in che modo le superate?

“Come sfida e impegno più importante possiamo sicuramente considerare il rispetto dell’originalità. Cioè portare avanti un intervento applicando le tecniche moderne, ma con lo spirito di come si costruivano le automobili all’epoca. Questo è fondamentale, perché la tecnologia di oggi aiuta, ma non può e non deve sostituire del tutto la manodopera e le metodologie di lavoro di un tempo”.

In quest’ottica, quali sono le tipologie di vettura più “ostiche” con cui avete a che fare?

Paradossalmente dedicarsi a un’auto degli anni 90 è più impegnativo che a una degli anni 50, sulla quale quasi tutti i pezzi erano fatti a mano o comunque con sistemi produttivi che adesso sono alla portata di tutti. I ricambi delle youngtimer, invece, spesso sono introvabili e i componenti o gli accessori di plastica diventano sempre più rari. Fortunatamente le tecnologie moderne ci vengono in aiuto: la semplice stampa 3d o la prototipazione rapida permettono di ricostruire praticamente tutto, ed è molto affascinante applicarle a qualcosa che appartiene al passato e a un lavoro che in realtà lo sta riportando in vita”.

Che consiglio si può dare a chi vuole acquistare un’auto classica da restaurare?

“Sicuramente quello di puntare su un esemplare completo e originale, anche in pessime condizioni, ma dotato di tutti i suoi elementi. E soprattutto farsi guidare dalla passione, comprare e far riportare all’antico splendore qualcosa che davvero piace. In generale, dal punto di vista del collezionista, sono dell’idea che quando si appaga una grande passione, alla fine conviene sempre…”.

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