
Archivio YC 15, luglio 2024. Testo di Marco Visani e foto di Massimiliano Serra
A guardarla oggi, capisci benissimo che ha i suoi anni. Ma solo perché è senza spigoli: tutta smussata, tonda, liscia. E ti rendi conto che per essere sportiva un’auto non ha bisogno di tagli netti, centinature che sembrano in realtà ammaccature e fari a metà strada tra il corrucciato e l’arrogante. Al netto di queste sostanziali differenze, però, la TT non ha età. È un’auto senza tempo. Una di quelle che anche fra mezzo secolo ricorderemo come uno dei capolavori assoluti degli anni 90. E di tutto il XX secolo.
È la storia di un azzardo, quella della TT. Prima che lei arrivasse, nel 1998, l’Audi non aveva mai costruito un modello così sportivo (vabbè, eccetto la urquattro S1, dai!). Erano trent’anni che, con piccole discontinuità, aveva in gamma delle coupé. Ma erano la declinazione moderna della classica coupé alla tedesca, derivate dalla berlina. Non vicina alla limousine (per dirla alla tedesca) come certe Opel e Ford, ma neppure così lontana.

Avevamo conosciuto la 100 Coupé S del 1970 e le due Coupé tout court derivate dalla 80: la B2 del 1980 e la C2 del 1990 (hai notato? Sono sempre anni tondi). Obietterai che dalla B2 è derivata in linea diretta la mitica Quattro. E infatti io ti do ragione. Però, vedi, per quanto cattiva fosse quella (e per quanto sia stata una pietra miliare nella storia del motorsport, e non solo dell’Audi) c’era comunque questa parentela strutturale – e, parzialmente, estetica – con un’auto da famiglia.

La TT, invece, spariglia le carte a iniziare dal nome. Che, con buona pace di quelli che la Prinz era buona solo per farci le battute, rendeva omaggio a un modello Nsu, la TT/TTS, di cui riprendeva pari pari persino la grafica del logo. E che significa, questo TT? C’è chi l’ha “risbobinato” come Tradition und Technik, altri come Tourist Trophy. Ma sono ricostruzioni a posteriori e nemmeno così importanti.
La TT cambia molti paradigmi, al suo arrivo, anche nella parte che in un’automobile si vede di meno, ma conta di più: nel pianale. Ennesima novità, trasferisce per la prima volta a un modello sportivo con i Vier Ringe (o, se ti piace di più, i quattro anelli) il motore trasversale sino ad allora riservato alla prima generazione della A3 (quella, anche lei, tutta rotondetta). Se vuoi fare con gli amici la figura di chi le sa tutte, segnati questi dati: la sua piattaforma è una PQ34, dove P sta per Passagiere (vettura passeggeri: stradale, insomma), Q per Quer (trasversale), 3 indica vettura compatta e 4 la progressione generazionale di questa categoria.

Tornando sulla terra, significa che la base su cui è sviluppata la TT è la stessa anche della Volkswagen Golf IV, della prima Seat Leon, della seconda Toledo, della prima Škoda Octavia. Sulla 8N (che è invece la sigla interna che identifica la prima generazione di TT) sono stati montati i quattro cilindri 1800 turbo 20 valvole da 150, 163, 180, 190 e – sulla trazione integrale quattro – 225 o 240 cavalli oltre che con il V6 3200 aspirato da 250 cavalli. Ed è con la TT che debutta su un’Audi il cambio dsg a doppia frizione.
Di traverso non aveva solo il motore, la TT: all’inizio della sua carriera ci si metteva anche lei. Era l’epoca in cui volavano parecchie vetture: ti ricordi le avventure dell’alce e della Mercedes Classe A? Nel nostro caso, all’immediata vigilia del nuovo millennio l’Audi richiamò parecchi esemplari per un problema di stabilità poi corretto montando esp, spoiler posteriore che riduceva la portanza e barre anti rollio con spessori differenziati in modo da correggere la tendenza ad andarsene di coda limandola (anche) con una superiore attitudine a smusare.

Detto più tecnicamente: aumentando il sottosterzo così da mitigare il sovrasterzo. Trasformandola da ballerina un po’ inquietante in una perfetta auto del nostro tempo, che alla peggio se senti che allarga basta che sterzi un po’ di meno e la rimetti agevolmente in traiettoria. Senza sentirti un manico, ma anche senza fartela sotto.
È facile, ricavare una bella spider da qualsivoglia coupé. Ma se la coupé è incantevole, ci vuole un genio perché, una volta che le hanno tagliato la testa, quel che rimane sia almeno altrettanto affascinante. All’epoca quel genio (Thomas Freeman, autore anche della New Beetle, successivamente passato alla Chrysler) era di corvée all’Audi. Ed è grazie alla sua felicissima matita che la TT Roadster è non meno sexy della sorella chiusa.

Anzi, sembra fatta apposta per sottolinearne il fascino. Tipo: il giochino delle bocchette centrali del clima, di forma tubolare, che dopo una breve interruzione si prolungano nella parte anteriore della plancia sotto forma di tunnel fessurato per sbrinare all’occorrenza il parabrezza, c’è anche nella coupé. Ma obiettivamente si nota poco. Sulla Roadster te ne accorgi invece appena entri: sarà che io sono maniaco dei dettagli, ma personalmente mi basterebbe per staccare l’assegno (lo so, nessuno li usa più, ma questa macchina ha il suo quarto di secolo e passa sulla groppa, dunque anche il metodo di pagamento è bene che sia coordinato).

Quando una macchina è stilisticamente perfetta non si cambia niente, o quasi. Il quasi, nel caso della TT 8N, è il leggero restyling del 2003, inevitabile perché qualunque auto, al giro di boa della metà carriera ha bisogno di qualche ritocco per esigenze puramente mediatiche: perché se ne parli e il pubblico sappia non solo che esiste ancora, ma che ha quel qualcosa di diverso da offrire. Nel caso della TT il lifting è davvero poca roba: griglia frontale a quadretti su tutta la gamma invece che a righe, loghi ridisegnati, cerchi idem e disponibilità del pacchetto S Line che, pagando, rendeva visualmente più sportive le versioni 4×4. Ancora più speciale la serie speciale (lo so, è un bisticcio di parole: l’ho fatto apposta) Baseball, con interno in pelle ispirato – per nuance, impunture e qualità del cuoio – alle classiche e inconfondibili palle da baseball. Ne hanno fatte poche, e una di quelle è la Roadster che ha posato per te davanti all’obiettivo di Max Serra.
I ricambi si trovano senza difficoltà, sia all’Audi sia online. Le bizze elettroniche del quadro di bordo (pannello centrale con display a righe o lancette che non danno le giuste indicazioni) sono un problema conosciuto almeno sino al 2004, poi risolto negli ultimi due anni di produzione. In ogni caso la sostituzione del pezzo con uno ricondizionato risolve brillantemente ogni problema. Talora l’ossidazione dei componenti può provocare il mancato funzionamento del termometro acqua o dell’indicatore livello carburante, che può essere invece imputabile al galleggiante.

In generale, con una buona manutenzione programmata (cambio olio e filtro ogni anno e cinghia di distribuzione ogni 90.000 km oppure ogni sei anni, indipendentemente dal chilometraggio) la puoi tranquillamente usare come auto da tutti i giorni. Se sei il tipo che ama sporcarsi le mani sappi: a) che ti invidio molto; b) che nel Service Manual della Bentley Publisher troverai una panoramica sulle procedure di manutenzione e anche la tabella completa dei codici Odb II per ogni diagnostica. Dunque, fai l’investimento e compratene una copia.

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