
Testo di Fabio Madaro
La Ferrari F50 è una delle supercar più affascinanti e amate degli anni Novanta, costruita in soli 349 esemplari tra il 1995 e il 1997 celebrava il 50º anniversario della casa di Maranello. Una spider con tetto rigido asportabile, concepita come la massima espressione della tecnologia derivata dalla Formula 1 applicata a una vettura omologata per uso stradale.
Il progetto nacque dall’intuizione di Piero Ferrari, che da tempo sognava una “Formula 1 per tutti i giorni”: Non a caso, il cuore della F50 era un 12 cilindri a V di 65° strettamente derivato dal propulsore montato sulla Ferrari 640 F1 di Nigel Mansell nel 1989, poi evoluto e portato a 4,7 litri. Lo stesso motore aveva trovato spazio anche nella Ferrari 333SP, utilizzato nel campionato IMSA americano.
Per la prima volta in una Ferrari stradale, il telaio era interamente in fibra di carbonio, con un peso di soli 102 kg. La soluzione non era solo avveniristica: la rigidità torsionale ottenuta permetteva un comportamento su strada mai visto prima. L’architettura ricalcava quella delle monoposto, con il motore parte integrante della struttura portante.

Il design della carrozzeria fu commissionato, ovviamente, a Pininfarina sotto la guida di Pietro Camardella. Linee tese e muscolari, studiate in oltre 2.000 ore di galleria del vento, restituivano non solo aggressività ma anche efficienza aerodinamica. Il grande alettone fisso posteriore era una vera scultura visiva e funzionale: senza di esso la vettura avrebbe perso gran parte della deportanza necessaria a oltre 300 km/h.
L’impianto frenante venne sviluppato da Brembo ed era volutamente privo di Abs. Anche lo sterzo e le sospensioni vennero progettate per la massima “purezza meccanica”: nessuna mediazione o filtri elettronici. La F50 chiedeva al pilota concentrazione assoluta, restituendo emozioni autentiche.
La produzione limitata a 349 unità fu una scelta precisa. Uno studio di marketing stimava 350 potenziali clienti. Seguendo un’antica regola di Enzo Ferrari, il segreto dell’esclusività stava in un principio semplice e rigoroso: produrre sempre un esemplare in meno di quanto il mercato ne richiedesse. Così ogni vettura diventava un oggetto unico, destinato a entrare nella leggenda. Ecco, molto semplicemente, la ragione di quel numero curioso che compare nei registri Ferrari: 349.

Il prezzo di listino nel 1995 era di 852.800.000 lire. Tutte le vetture furono assegnate ancor prima di essere prodotte. Per evitare speculazioni, Maranello stabilì regole rigide: un solo esemplare per cliente e divieto di rivendita prima di due anni.
Curiosamente, Ferrari offrì inizialmente la vettura in leasing anziché in vendita diretta, proprio per mantenere il controllo sui passaggi di proprietà. Una mossa che alimentò discussioni, ma che contribuì a rendere la F50 ancora più rara e desiderata. In Italia e all’estero la F50 venne esaltata per la sua purezza anche se non mancarono alcune critiche: il comfort scarso, il rumore assordante nell’abitacolo e l’ala posteriore giudicata “troppo vistosa” da parte di alcuni osservatori. D’altra parte proprio questi aspetti contribuirono a renderla unica e irripetibile.
Il V12 da 520 cv a 8500 giri era accoppiato a un cambio manuale a 6 marce. Le prestazioni erano degne di una monoposto: 0-100 km/h in 3,9 secondi, oltre 325 km/h di velocità massima.
Il peso di soli 1230 kg, distribuito perfettamente secondo la proporzione 42/58, garantiva agilità eccezionale. L’esperienza di guida era al limite: senza controlli elettronici, bastava un banale errore per combinare un disastro perdendo il posteriore. Non a caso, diversi esemplari furono incidentati nei primi anni di vita.

La domanda dei clienti e l’interesse delle competizioni spinsero Ferrari a sviluppare una versione da corsa, la F50 GT, destinata al campionato BPR Global GT Series. Adottava un V12 da oltre 750 cv e sospensioni più rigide.
Durante i test, la F50 GT mostrò prestazioni straordinarie, più veloci persino di prototipi ufficiali dell’epoca. Tuttavia, Ferrari decise di non proseguire il programma, concentrando gli investimenti sulla Formula 1, che nel 2000 con Michael Schumacher avrebbe riportato il titolo mondiale a Maranello dopo 21 anni.
Furono completati solo tre esemplari: oggi sono custoditi gelosamente da collezionisti privati.
Molti personaggi noti si assicurarono la loro F50. Mike Tyson la usava per farsi notare a Las Vegas, mentre Diego Maradona la guidava con entusiasmo a Napoli, dove la supercar italiana divenne un mito urbano. Nel 2003 una F50 fu rubata da un concessionario Ferrari a Filadelfia con un colpo degno di un film: un falso cliente partì in prova e non tornò più. L’auto venne ritrovata solo anni dopo.
Curiosità anche per i colori: la maggior parte delle F50 era rossa (Rosso Corsa), ma non mancarono esemplari, pochi, neri, gialli e grigi, oggi rarissimi e ricercatissimi.
Al momento del debutto, la F50 fu accolta con meno entusiasmo rispetto alla F40, forse per il design più estremo e il carattere radicale. Ma con il passare degli anni è stata rivalutata: oggi è considerata una delle Ferrari più pure e affascinanti.
Sul mercato collezionistico ha raggiunto cifre impressionanti: oltre 3 milioni di euro per esemplari in condizioni perfette, con picchi vicini ai 5 milioni per le versioni meno comuni. Oggi, ogni F50 sul mercato non è semplicemente una macchina in vendita: è un pezzo di storia dell’automobilismo, un simbolo del mito Ferrari, un oggetto di desiderio che sfida il tempo e le mode. Chiunque ne possieda una non detiene solo una vettura, ma un’autentica leggenda su ruote, il cui valore continuerà a crescere e a ispirare generazioni di appassionati.

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