
Testo e fotografie di Carlo di Giusto
Nell’autunno del 1998, sulla scia delle deludenti performance commerciali della Smart “normale” (che prima di diventare Fortwo si chiamava City Coupé), i vertici del brand decidono di esplorare il futuro del marchio e le possibili declinazioni. Fra i progettisti, tutti sembrano convinti delle potenzialità del motore turbo a tre cilindri della City Coupé, che pare adatto anche per una piccola vettura sportiva. Devi sapere che tra la fine degli anni 90 e i primi 2000 ogni costruttore ha a listino una coupé o una cabriolet o tutt’e due le cose insieme, come le coupé cabriolet con il tettuccio ripiegabile di metallo, che sono richiestissime. Il mercato, in quello specifico segmento, è frizzante e tutti, giustamente, vogliono prendersene un pezzetto. Così anche la Smart dove il team di designer guidato da Jens Manske dà vita a una concept car bassa e raccolta. I primi modelli in scala 1:4 vengono realizzati nel febbraio 1999.

Il percorso progettuale giunge a una svolta con l’arrivo di Michael Mauer (oggi responsabile dello stile Porsche): sostituisce Manske nel maggio 1999 e inietta energia creativa nel suo team, accelerando lo sviluppo del nuovo futuro modello, il cui debutto era già fissato al Salone di Francoforte dello stesso anno, in autunno. Le maquette a grandezza naturale di una roadster compatta vengono trasferite alla Stola di Torino, dove, in appena tre mesi, realizzano il modello da esporre a Francoforte. La Smart Roadster Studio, così viene battezzata la concept car, riscuote non solo un immediato successo di critica, ma convince anche lo stato maggiore della Smart a metterla in produzione e, nel contempo, suggerisce l’idea di una variante coupé, da presentare al Salone di Parigi dell’anno successivo.

L’anno 2000, finalmente, segna un’inversione di tendenza per la Smart: sia la City Coupé, sia la nuova versione City Cabrio iniziano a farsi apprezzare, soprattutto in Italia, che diventerà il primo mercato al mondo. In marzo, Mauer passa il testimone a Hartmut Sinkwitz, il terzo capo del design nella gestazione della Roadster. Sinkwitz ha il compito di portare la concept car in produzione: la progettazione, pensata fin dall’inizio per utilizzare l’unità propulsiva e altri componenti della City Coupé, semplifica il processo. Così, nel settembre del 2002, al Salone di Parigi, debuttano le Smart Roadster e Roadster Coupé. La prima differisce dalla seconda, protagonista di questo servizio, perché non ha il portellone a cupola in cristallo. Però entrambe hanno il tetto apribile.

Quella delle Smart Roadster è una storia di design, magari controverso, ma pur sempre originale e dirompente. Tuttavia, l’irripetibile sportiva svizzero-tedesca riserva altri piaceri, altrettanto intangibili, ma fondamentali: guidarne una, anche oggi, è un’esperienza immersiva in tutti i sensi, praticamente un viaggio in un tempo in cui guidare sfiorando l’asfalto col palmo della mano era alla portata di tutti. La Roadster Coupé è un kart, mi dice Enrico, che l’ha promossa a sua daily personale: “A differenza della City Coupé, qui si può disattivare l’esp e divertirsi un po’ a derapare”, mi spiega prima che lo ammonisca, dicendogli che non si fa.
Il motore è abbastanza potente e probabilmente sarebbe anche più vivace se il cambio – un robotizzato semiautomatico prodotto dalla Getrag con tre marce e due riduttori finali – fosse un po’ più rapido. Si finisce per assuefarsi e sfruttarlo per quello che è, cioè nulla di molto diverso dagli altri elettroattuati dell’epoca. Il vero punto di forza, semmai, resta il suo assetto piatto e inaspettatamente meno rigido di quello della City Coupé, che permette di pennellare le curve con precisione, perché sterzo e avantreno infondono sicurezza. Alle alte velocità, invece, la sensibilità diminuisce e puoi avvertire una sensazione di galleggiamento, nonostante la servoassistenza dello sterzo si disattivi. Se hai l’occasione di guidarne una, cercati una strada piena di curve e divertiti, ma sappi che poi correrai a cercarne una: fallo in fretta, perché non costeranno meno di una Panda ancora per molto. Brabus a parte, ovviamente…

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