
Testo e fotografie Edoardo Baj Macario
Piccola, affusolata, verniciata in un grigio molto tecnico, la coupé attrae gli sguardi. E quello stemma sul muso, DB (che in realtà si pronuncia Dé-bé), spinge perfino qualcuno a credere che sia il prototipo di un’Aston Martin. Ma il progetto affonda le sue radici dall’altra parte della Manica e rappresenta qualcosa di molto più peculiare e inconsueto.
La storia inizia addirittura nel 1904, anno di nascita di René Bonnet, figlio di un falegname del centro della Francia. Nell’autunno del 1929, mentre lavora presso l’attività del padre, riceve un telegramma: la sorella gli comunica la morte del cognato e chiede di aiutarla a portarne avanti l’officina di Champigny-Sur-Marne, vicino Parigi. Lui accetta.

Due anni dopo l’azienda va così bene che viene ampliata acquisendo la fabbrica di carrozze della signora Deutsch, vedova e con un figlio poco più giovane di René, Charles, iscritto a ingegneria. I due diventano amici e cominciano ad abbozzare progetti di automobili. Nel 1936 arriva la prima concretizzazione, con motore e telaio Citroën: la DB 1. Le iniziali dei soci (Deutsch e Bonnet, per l’appunto) sono impresse sul cofano. È nato il marchio.
Dopo il buio periodo della guerra, alla collaborazione con il Double Chevron si sostituisce quella con Panhard e viene “schizzata” una piccola gt 2+2 per la categoria gran turismo, in vista della quale si contatta la carrozzeria Chausson, specialista nella plastica. Finalmente l’auto fa il suo debutto al Salone di Parigi del 1954, denominata Hbr4 o Hbr5 a seconda del motore.

L’H era l’allora codice d’omologazione Fia per le vetture tra 500 cm³ e 750 cm³ (sarebbe dovuta diventare una G quando la cilindrata salì a 851 cm³, ma si preferirà conservarla per questioni di riconoscibilità), la B sta per biposto (Biplace), la R per stradale (Route), il numero indica la potenza fiscale.
La carrozzeria, disegnata da Bonnet e perfezionata da Deutsch, è costruita in fibra di vetro su un telaio estremamente rigido, con longheroni molto grandi. Il design è decisamente aerodinamico, con il chiaro intento di privilegiare una bassa resistenza all’aria rispetto a un motore molto potente.

Non a caso, perché sotto il cofano pulsano due bicilindrici Panhard: la Hbr4 “Standard” è spinta da un 745 cm3 raffreddato ad aria, mentre la Hbr5, conosciuta anche come “Rallye Luxe”, ha un 851 cm3 con carburatore doppio corpo, per 58 cv e 165 km/h. L’850 può anche montare la sovralimentazione tramite compressore.

La produzione iniziò nel gennaio 1955 presso la Chausson, al ritmo di due unità a settimana. Già in questa fase non mancano le prime piccole modifiche: nel giugno 1956 viene rimosso il bordo centrale del cofano, mentre dal febbraio 1957 i paraurti si presentano integrati nella carrozzeria.
Lo stesso anno vede però un’altra importante novità: l’iniziale contratto DB-Chausson scade e i dirigenti della carrozzeria, che volevano riconquistare la propria indipendenza senza mettere in difficoltà i soci, accettano di partecipare alla costituzione di una nuova società, inizialmente denominata Spcav (Société Plastique de Construction Automobile des Vosges), poi più semplicemente Spv (Société Plastique des Vosges).

La prima Hbr5 esce dalla nuova fabbrica l’11 giugno 1957 e, naturalmente, con l’occasione del cambio di stabilimenti, arrivano ulteriori evoluzioni: a dicembre vengono eliminati i fari anteriori a scomparsa, sostituiti da elementi con carenature in plexiglas, mentre i posteriori sono presi in prestito dalla Peugeot 403 e nel gennaio del 1959 i paraurti diventano più spessi. E non è certo finita qui.
La Hbr si rivela anche un’ottima auto da corsa, con oltre 200 competizioni portate a termine, tanto più che l’acquisto per i piloti amatoriali è agevolato dai vantaggi fiscali della ridotta cilindrata. Ma se in Francia l’apprezzamento è comprensibile, la sorpresa giunge da oltreoceano: uno dei fondatori dell’Scca e creatore delle gare di durata negli Usa, Alec Ulmann, resta stupito dalla vettura e ne acquista tre con l’amico Bill Cook, con cui prende parte alla prima edizione della 12 ore di Sebring.

Così numerosi piloti a stelle e strisce si accorgono della piccola transalpina. Nel frattempo, in Europa arrivano diverse vittorie legate al famoso “indice di prestazione”, creato della federazione francese per consentire alle auto di piccola cubatura di raccogliere una parte degli allori se superavano gli standard attesi.

La DB Hbr rimane in produzione fino all’autunno del 1959, con 428 esemplari tra Hbr4 e Hbr5. Nel 1960 nasce la Hbr5 Super Rallye, realizzata in sole dieci unità, con motore a doppia accensione da 954 cm3 e 70 cv, che partecipa a numerose competizioni. Nello stesso anno, dopo un quarto di secolo i due amici si separano: Charles Deutsch decide di non seguire più i progetti dell’azienda. Sciolta la società, continua la progettazione di automobili in modo diverso, realizzando quattro sportive (a motore Panhard) con la sigla CD, per poi assumere in seguito un incarco dirigenziale nell’organizzazione della 24 ore di Le Mans.

Morirà nel 1980. Il socio, invece, apre la “Société des automobiles René Bonnet” e, con il supporto della Matra, tra il 1960 e il 1964 si occupa di quattro modelli (fra cui la piccola Djet). Nel 1964, fortemente indebitato, vende l’azienda proprio alla Matra. Perirà in un incidente stradale nel gennaio 1983.
La Hbr5 ritratta in queste foto, la numero 842, è stata costruita nel gennaio 1956 e dunque dovrebbe essere un prodotto della carrozzeria Chausson, ma non ci sono dati certi a riguardo. A oggi è però uno dei tre esemplari conosciuti con i fari antinebbia, i Marshall “Fantastic”. Immatricolata in Francia nel marzo 1956 a nome della Casa madre, con targa 775DB02, ha partecipato alle ultime due 1000 Miglia e centrato un 6° posto di classe nell’edizione del 56, per poi proseguire la carriera in Francia fino al 57.

Dopodiché non ha lasciato il territorio natale fino al 2022, con quattro possessori in 65 anni. L’ultimo l’ha riverniciata due volte: prima in un blu tipicamente transalpino, poi con un rosso tendente all’aragosta, personalizzando anche l’interno con appariscenti rivestimenti in microfibra blu accesso e plancia nera.

In questa combinazione di colori la Hbr5 viene acquistata dall’odierno proprietario, appassionato di vetture che abbiano preso parte alla gara bresciana: “L’ho trovata su internet e mi è piaciuto un po’ tutto, dalla linea alla storia del marchio. Grazie al club delle DB francesi ho ottenuto la certezza che fosse originale e corretta, cioè che lo “stravolgimento” si limitasse ai colori e i fondi fossero buoni, come il motore”.
Così l’auto arriva in Italia e viene affidata ad alcuni artigiani toscani. Il proprietario, vista la particolarità, divide i compiti: “È stata portata a nudo e dipinta con la vernice per la fibra. Il colore originale, grigio, l’ho trovato sotto i pulsanti della plancia, mentre durante lo smontaggio abbiamo reperito la cifra “128” su alcuni pezzi, corrispondente al numero di scocca. Il rosso della selleria l’ho scoperto sotto le foderine blu”.

È arrivato il momento della prova, sulle strade del Lido di Camaiore. Il bicilindrico è pronto a sorprendere chi dubita della sua potenza e si sveglia con un bel rombo che attira tutti i presenti, i sedili simili a quella della Porsche 356 Speedster piacciono per il comfort, e in pochi chilometri la piccola tutt’avanti ci trasmette tutta la sua precisione e agilità di guida.

L’unica accortezza è il cambio a innesti laterali, cui bisogna fare l’abitudine; fra l’altro i rapporti sono lunghi e si sente, viaggiamo in terza senza quasi mai cambiare marcia. Nel frattempo raccogliamo l’approvazione di tutti i passanti, che chiedono stupiti di che auto si tratti: “Che macchina è codesta? DB? mai sentita!”.
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