
Testo Marco Visani, fotografie Marco Zamponi
A modo suo, fu una prima volta. Sino ad allora le versioni sportive – o, meglio, ancora più sportive di quelle che lo erano già – si qualificavano, nel nome, con aggettivi tipo “Spinta”, “Veloce”, “Gran-qualcosa”. Poi arrivò lei, la Giulia 1600 Sprint Gta: Gran Turismo (ok, quella dicitura appunto esisteva già) ma con l’aggiunta di Alleggerita.

Per far capire che quel che contava, per andare forte, non era solo avere tanti cavalli ma, soprattutto, sopportare il peso di pochi chili. Un approccio non certo nuovo nella sostanza, ma sostanzialmente inedito nella forma. D’altra parte tutto fu fuori ordinanza, nella Gta. Anche il posto in cui venne presentata: il Salone di Amsterdam.

È lì che la mostrarono per la prima volta, a febbraio 1965. A una fiera considerata minore e che, tuttavia, per anni fu il secondo salone dell’anno, in Europa, dopo quello di Bruxelles. Salvo che poi, poche settimane dopo, arrivava l’esposizione di Ginevra, dove le stesse novità venivano ri-esposte e per gran parte del pubblico era lì che si erano viste quelle auto, mica in Olanda.
Persino il senso della Gta (che poi diventò molto di più: un’icona trasversale nel mondo Alfa Romeo) fu del tutto diverso da quello dei modelli che l’avevano preceduta. Per dire: anche la Giulietta Sprint, che era la progenitrice della Giulia Sprint GT, aveva avuto la sua brava declinazione pepata, cioè la Sprint Veloce. Che era potenziata e, anch’essa, alleggerita, ma conservava una declinazione tutto sommato borghese, riservando ad altri body (la Sprint Speciale di Bertone e la SZ di Zagato) il ruolo di “animali feroci” del branco.

Con la Giulia Gta l’Alfa Romeo riuscì invece a giocare con grande sapienza sull’equilibrismo di una vettura che, pur rimanendo stradale, aveva nel mirino i gentleman driver che nel fine settimana mettevano la freccia e, uscendo dall’autostrada, entravano direttamente in pista. Potenza di quel quadrifoglio verde incastonato in un triangolo bianco orgogliosamente esibito di lato.

A sua volta non rappresentava niente di assolutamente inedito ma, una volta ancora, rappresentava uno degli ingredienti dosati sapientemente per dare al “piatto Gta” un sapore assolutamente inconfondibile. Anche perché il “guscio” esterno, leggi la carrozzeria, era sempre quello della coupé firmata per Bertone da un giovanissimo Giorgetto Giugiaro.
A mettere la loro firma su quella “A” che fa tanta differenza sono principalmente Orazio Satta Puliga e Giuseppe Busso, dunque i capi della progettazione Alfa. Siccome l’obiettivo agonistico è superare l’impasse in cui si era trovata nelle competizioni non ufficiali la Giulia TI Super – la mitica Quadrifoglio – a causa del suo peso, non si accontentano della massa per sua natura già più ridotta della Sprint rispetto della berlina.

Lavorano di fino sulla riduzione dei chili sostituendo, di fatto, metà carrozzeria, che viene stampata non più in acciaio ma in peraluman, una lega di alluminio, zinco e manganese particolarmente leggera che Zagato aveva già impiegato per la Giulietta SZ, e che permette da sola di ridurre di oltre due quintali il peso della carrozzeria, verniciata unicamente in biancospino o in rosso Alfa 501.

Sui parafanghi anteriori e in coda c’è un quadrifoglio adesivo, mentre i cerchi sono dei 6×15 in elektron di disegno specifico. Sotto la mascherina, dalla grigliatura inedita, ci sono due aperture supplementari. Le maniglie porta non sono incassate e hanno un disegno alquanto minimal e il volante (un Hellebore) è a sua volta specifico.
Il motore, malgrado misure interne coincidenti con quelle delle altre Giulia 1600 (il basamento è comune) è sostanzialmente rifatto in tutte le altre parti, per la disperazione di chi oggi deve restaurarne una Gta.
L’accensione è a due candele per cilindro (soluzione che molti anni più tardi avremmo conosciuto come Twin Spark), il coperchio delle punterie è in elektron (come la coppa dell’olio alettata e maggiorata), mentre i carburatori (da 45 invece che da 40) sono comuni alla Giulia TI Super e vengono alimentati da due pompe elettriche che agiscono simultaneamente.

Le valvole sono più grandi e hanno, di conseguenza, un’inclinazione ridotta e anche le bielle sono specifiche. In pratica non c’è una sola parte in movimento o accessoria che coincida con quella della Sprint GT standard. Il discorso vale anche per i fuselli delle sospensioni anteriori, completamente ridisegnati, e per il retrotreno, che comprende il cosiddetto “slittone”: una guida longitudinale entro cui scorre il puntone fissato al differenziale, che praticamente azzera le oscillazioni trasversali del ponte.

Per “tirare” sul peso, persino la batteria è più piccola del normale. A leggere la scheda tecnica si direbbe che tanto impegno non abbia prodotto corrispondenti risultati: dai 103 cv della 1600 Sprint GT si è passati a 115, e da 179 all’ora a 185. Ma bastano un paio di chilometri con la Gta per capire come l’erogazione sia più rabbiosa, decisamente più sportiva, malgrado il regime di potenza massima sia lo stesso, decisamente stradale, di 6000 giri.
Dietro questo tuning c’è solo in minima parte l’Autodelta, visto che essenzialmente lavorerà solo sulle successive preparazioni sportive. Azienda giovanissima (era stata fondata a marzo 1963) eppure con fondamenta massicce: dietro di lei si cela nientemeno che Carlo Chiti, l’ingegnere che, quando era in Ferrari, aveva messo il motore dietro in Formula 1, aveva vinto due mondiali con Hawthorn e Hill e, nel 1961, assieme ad altri tecnici, aveva organizzato una rocambolesca fuga da Maranello per fondare l’effimera Ats.
Durarono poco: l’Ats di suo, e ancora meno lui all’Ats, tanto che dopo un paio d’anni si trasferì in provincia di Udine, a Tavagnacco, nei locali di una concessionaria Innocenti gestita da Lodovico Chizzola. Una location che più delocalizzata di così non si poteva, scelta con il preciso scopo di tenere sotto copertura la reale destinazione di quel capannone con la scritta Autodelta.

Che era una struttura privata, esterna e indipendente, ma che agiva come reparto corse dell’Alfa Romeo, lontana dai campi di gara dai primi anni 50, quantomeno in forma ufficiale. Per preparare un rientro in grande stile, l’Alfa Romeo chiede quindi alla sua neonata sussidiaria di sviluppare la preparazione da gara della Gta.
Traduciamo la pappardella in numeri: con il doping di Chiti & Co, la Gta da corsa arriva liscia liscia a 160 cv e a 220 all’ora, passando man mano all’iniezione meccanica Spica al posto dei carburatori. Forte anche dell’omologazione a quattro posti della versione stradale, gareggia con successi strepitosi nella categoria Turismo fino al 1970, poi passa alla Gran Turismo e continua a dettare legge sino all’alba degli anni 80, in configurazioni via via sempre più estreme.

Che comprendono cerchi piccoli (13 pollici) ma larghissimi (canale di 7), parafanghi rivettati, smontaggio dei paraurti e una miriade di altre modifiche meccaniche. A parte la sostituzione del filtro aria con le trombette di aspirazione (come già facevano molti alfisti anche sulle Giulia berlina), molti piloti fanno togliere il radiatore dell’olio, sostituendolo con due piccole taniche per recuperare il lubrificante eventualmente uscito dai due tubi di sfiato: uno sul tappo, l’altro dietro il blocco motore.
Sulle Gta preparate, inizialmente targate UD prima del trasferimento dell’Autodelta a Settimo Milanese, si alternano nomi diventati leggende dell’automobilismo: Teodoro Zeccoli, Andrea de Adamich, Giorgio Pianta, Mario Poltronieri, Spartaco Dini e Nino Vaccarella. Ma la lista potrebbe essere ben più lunga.
La Giulia Sprint Gta che ha fatto da “modella” per le nostre foto è stata immatricolata nell’ottobre del 1965 e appartiene al Museo Storico Alfa Romeo di Arese. Venne venduta originariamente a Milano e poi riacquistata dall’Alfa – senza una carriera sportiva alle spalle, quindi senza tuning più o meno d’autore – nel 1971, tanto che era già presente all’inaugurazione del Museo nel 1976. È sempre rimasta in configurazione stradale, nonostante i paraurti siano stati rimontati successivamente e abbia subito alcune modifiche di pochissimo conto.

E presenta anche la predisposizione per l’autoradio, verosimilmente fatta dal primo proprietario. Commercialmente la Gta ha avuto una rilevanza modestissima: 504 esemplari su un totale, di tutta la serie Giulia GT e derivate (comprese le 1750 e 2000), di oltre 225 mila unità. Ma senza quelle poche centinaia di vetture il totale sarebbe stato ben inferiore, perché molti possessori anche delle (quasi) tranquille GT “milletré” acquistarono le loro vetture proprio per identificarsi con i campioni che inanellavano successi con le Gta.
Ancora più risicato (488 pezzi) è lo score della sola derivazione stradale della 1600 Sprint Gta d’origine, denominata 1300 Gta Junior, che è una Junior con alcuni elementi ispirati alla Gta, tra cui la doppia accensione e la costruzione leggera. Stavolta il quadrifoglio sui parafanghi è più grande e senza il triangolo sottostante, ed è accompagnato da una fascia adesiva a contrasto che corre lungo tutto il fianco.

A sua volta non è, in apparenza, un fulmine (96 cv e 175 km/h) ma era la “scusa” commerciale – leggi: un escamotage per ottemperare ai regolamenti sportivi – per impiantarci una robusta elaborazione (Autodelta, ça va sans dire) che porta il bialbero 1300 a 160 cv e a numerosi successi in gara, tra i quali la conquista dell’Europeo Turismo 1972.
Se la Gta dura solo quattro anni, dal 1965 al 1969, la Gta Junior vive sette anni, dal 68 al 1975, classificandosi come la seconda versione, in termini di longevità, di tutta la serie Giulia GT e derivate, superata solo dalla GT Junior normale. Una carriera di peso, per un’auto che ha vissuto tutta la sua vita in leggerezza.
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