
Testo di Saverio Villa, fotografie Wolfango
L’Appia è stata il primo grande successo commerciale della Lancia. Fu presentata nel 1953 e rimase in produzione fino al 1963. Tenete in considerazione che, prima di lei, la bestseller del marchio piemontese era stata l’Ardea, prodotta in poco più di 31 mila esemplari, mentre l’Appia – nelle sue tre generazioni – superarono le 100 mila unità. Per essere precisi, 107.048.

Nella configurazione originale, questo modello della Lancia aveva quattro porte e misurava meno di 3,9 metri, quindi era una berlina “compatta”, tanto per usare una definizione in voga oggi. Nell’aspetto riprendeva – seppure in scala ridotta – molte linee dell’Aurelia e nasceva per controbattere sul mercato la Fiat 1100/103. Del resto, a quell’epoca, la Lancia era ancora ben lontana dall’essere inglobata dalla Fiat: evento che ebbe luogo solo nel 1969.
Rispetto alla 1100/103, però, l’Appia aveva una meccanica molto più sofisticata, a cominciare dal quattro cilindri con una V strettissima di 10°14’: probabilmente l’angolo tra le bancate più ridotto in assoluto nella storia dell’auto. La distribuzione era a valvole in testa inclinate, comandate da due alberi a camme collocati nel basamento. E anche le prestazioni erano superiori a quelle della concorrente marchiata Fiat.
Ma alle cifre di produzione di cui sopra, contribuirono anche oltre 5000 autotelai ribassati che la Lancia mise a disposizione dei più importanti carrozzieri dell’epoca per realizzare esemplari “fuoriserie” di impronta prevalentemente sportiva, se non addirittura destinati alle corse, per competere nelle classi GT e turismo, nonché nelle gare in salita.

Su quelle meccaniche si cimentarono Allemano, Boano, Ghia, Pininfarina, Vignale, Viotti (che costruì anche 300 Appia “giardinetta”, una stravaganza per l’epoca) e, dal 1957 al 1962, anche Zagato, che battezzò Gtz (Gran Turismo Zagato), Gte (Gran Turismo Esportazione) o Sport le sue circa 700 realizzazioni su base Appia, che furono quelle con l’impostazione più “cattiva”.
Tra i modelli speciali usciti dalla carrozzeria milanese, però, la Gtz Prototipo protagonista di questo servizio ha una rilevanza particolare, perché venne fatta costruire nell’aprile del 1958, per “uso personale”, proprio da Elio Zagato (1921-2009), figlio di Ugo, fondatore dell’atelier lombardo, e nipote di Gianni. La vettura ha il telaio n. 1875 e adesso è di proprietà di Andrea Nannetti, operatore – tanto noto, quanto giovane – nel settore delle auto da collezione.

Con questa vettura Elio Zagato, a cui piaceva cimentarsi in gara utilizzando il soprannome “Rosso”, disputò nel 1958 la Coppa San Marino, la 6 Ore Esso a Vallelunga, la Trento Bondone, il Giro delle Calabrie e la Coppa Intereuropa a Monza. E con lui, sul tracciato brianzolo, la vettura ottenne l’affermazione più importante della sua storia agonistica, tagliando il traguardo in quarta posizione assoluta dietro tre Alfa Giulietta SZ e vincendo la sua classe, tra l’altro precedendo la Fiat 1100 Zagato di Carlo Coppo.

L’anno successivo Elio Zagato la cedette ad altri piloti che contribuirono ad allungare il palmarès sportivo dell’auto fino al Trofeo Lumezzane Coppa Cantoni del 1961, quando la Gtz Prototipo terminò la sua carriera nelle competizioni. Durante il suo periodo agonistico l’auto ha avuto solo due incidenti, il primo alla Coppa Città di Asiago del 1959 e il secondo, che ha distrutto quasi completamente la parte anteriore, alla Coppa della Consuma del 1960. L’integrità della scocca, però non è stata compromessa.
Quando venne costruita per Elio Zagato la vettura era rossa, ma nel corso della sua esistenza è stata anche bianca e argento, per tornare a essere verniciata nel rosso che la caratterizza tuttora a metà degli anni 70. Questo esemplare si distingue dalle altre Appia Gtz per la mancanza delle pinnette posteriori, per il muso più affusolato e aerodinamico, per la calandra più estesa in altezza e per i proiettori incassati e carenati a sviluppo più verticale, mentre anche in questo caso brillano per la loro assenza i rigonfiamenti sul tetto caratteristici di molte Zagato, a cominciare proprio dalla prima Gtz del 1956, affettuosamente e ironicamente soprannominata “Cammello” proprio per le gobbe sul padiglione.
Ma restano evidenti numerosi tratti stilistici che poi Zagato riprenderà sull’Alfa Romeo Giulietta SZ nata due anni dopo. Rispetto alla configurazione originale del 1958, però, sono cambiati i fanalini posteriori, che in origine erano quelli standard dell’Appia II Serie, ma negli anni 70 sono stati sostituiti con quelli montati ancora oggi, uguali a quelli delle Osca 1600 Zagato, ma pure delle Ferrari 250 GT Swb.

Per la cronaca, comunque, va detto che di Gtz rivedute e corrette sulla falsariga della Prototipo con telaio 1875, destinate poi a dare origine alla serie Gte, ne furono realizzate altre due (con telai 2130 e 2131), delle quali, però, non si hanno notizie e si presume che siano andate distrutte.
Ma torniamo alla storia vera e propria della protagonista di questo servizio che, al termine della prima parte della sua vita sportiva, dagli anni 70 a metà degli anni 80 ha preso parte a diverse manifestazioni rievocative iscritta dai proprietari che si sono succeduti nel tempo e anche esibendo targhe differenti (la prima, nel 1958, era MI 396190). L’ultimo dei possessori che hanno preceduto Andrea Nannetti è stato Emanuele Marcianò, collezionista di Osca recentemente scomparso, che l’ha tenuta con sé dal 1975 al 2023.

Marcianò l’aveva acquistata solamente per un milione di lire da Andrea Biselli, perché quest’ultimo non era del tutto certo dell’originalità della vettura, così diversa dalle altre Gtz. Tuttavia Marcianò, da esperto qual era, aveva capito che l’auto non era affatto stata “pasticciata” e interpellò Elio Zagato, che la riconobbe dalla descrizione. E tornò a incontrare la sua ex auto, e a farsi ritrarre con lei, nel corso di due eventi per auto storiche: al Kursaal di Lugano nel 1977 e al 1° Raduno Internazionale Zagato avvenuto a Villa D’Este nel 1979.
Tecnicamente la Gtz Prototipo prende le mosse dall’Appia II Serie, costruita dal 1956 al 1959, che è stata la prima Lancia sulla quale è intervenuto pesantemente l’ingegner Antonio Fessia, in qualità di Direttore Tecnico della casa piemontese. Fessia, lo ricordiamo è stato successivamente il padre della Flaminia, della Fulvia e della Flavia ma, soprattutto, è stato il progettista visionario che ha portato in Lancia i concetti, allora all’avanguardia, di trazione anteriore, alimentazione a iniezione, motore boxer, freni a disco sulle quattro ruote e circuito frenante sdoppiato.

Rispetto al motore dell’Appia prima serie, quello della seconda serie ha la testata modificata, pistoni diversi e un carburatore differente. Cambiano anche le camme dei due alberi di distribuzione e le valvole hanno tutte gli steli della stessa lunghezza. Le sospensioni, che utilizzano ammortizzatori idraulici, sono indipendenti davanti, con molle elicoidali, e ad assale rigido, con balestre longitudinali, dietro.Il cambio è a quattro marce, la trazione è ovviamente posteriore e i freni sono a tamburo su tutte le ruote.

Sull’Appia seconda serie ufficiale la potenza dichiarata per il motore di 1089 cm³ era di 44 cv a 4800 giri, per una velocità massima di 128 km/h. Ma nel caso della Gtz i cavalli salivano a 53, più o meno allo stesso regime, grazie anche all’adozione di un carburatore doppio corpo Weber 36 Dcld 3 al posto del Solex 32 Pbic monocorpo. La velocità massima era stimata in circa 160 km/h nel caso delle Gtz standard, ma la Prototipo dovrebbe essere po’ più veloce, grazie all’aerodinamica ancora più estrema. Del resto, alla Zagato, che aveva un know how aeronautico, già a quei tempi si curava molto la penetrazione dell’aria.
Non potendo contare su una galleria del vento capace di ospitare una vettura a grandezza normale, venivano realizzati modelli in scala 1:5, che venivano poi affinati nella piccola galleria del vento del Politecnico di Milano. E anche il peso dell’Appia Prototipo è bassissimo grazie a un’ulteriore cura dimagrante che ha portato i chili dagli 800 delle Gtz “normali” a circa 750.

Mentre, tanto per fare un paragone, l’Appia berlina seconda serie, con la carrozzeria in acciaio invece che in alluminio modellato come le Zagato, dichiarava 860 kg. Come tutte le Appia, anche la Prototipo si distingue per la meccanica semplice e affidabile. Rispetto alle altre Gtz non propone modifiche di rilievo e nel breve periodo del suo possesso, Andrea Nannetti ha dovuto provvedere, oltre alla lucidatura della carrozzeria, solo ai controlli generali e alla sistemazione dell’impianto frenante perché, come su tutte le Appia, i tamburi manifestano una certa predisposizione al bloccaggio.
Il motore gira che è un piacere e ai regimi prossimi a quello di potenza massima acquista anche una tonalità molto aggressiva, grazie allo scarico piuttosto libero e dall’andamento rettilineo. Ovviamente, trattandosi di un esemplare unico, non esiste una quotazione di quest’auto riconosciuta ufficialmente dal mondo del collezionismo, ma secondo la stessa Carrozzeria Zagato, il valore della vettura dovrebbe aggirarsi intorno ai 300 mila euro.
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