Nel sommario di questo articolo abbiamo fatto esplicito riferimento ai veicoli Bev, che rappresenta l’acronimo di battery electric vehicles. In realtà, giunti al termine del nostro percorso all’interno dell’elettrificazione, vorremmo raccontarvi di come le auto in cui l’unico elemento di trazione sia semplicemente un motore elettrico, non sono sempre e soltanto a batteria. Come da titolo: come sono fatte le auto elettriche.
Di fatto l’acronimo di cui sopra identifica i veicoli elettrici in cui un accumulatore fornisce energia al propulsore elettrico, la cui potenza e coppia sono indirizzati tramite una trasmissione (spesso un semplice riduttore) alle ruote. La vettura si muove e il gioco è fatto. Il principio è corretto, ma potrebbe essere che ad alimentare la batteria ci siano pure un motore termico oppure un sistema a celle a combustibile (quasi sempre ad idrogeno).
Le vetture elettriche sono essenzialmente formate da pochi elementi: uno o più motori elettrici destinati alla trazione, un inverter (converte la corrente continua in alternata), un’accumulatore e un carica batteria, senza dimenticare gli organi di trasmissione. Si tratta ovviamente di una descrizione sommaria, utile a comprendere che, per certi aspetti, le auto elettriche sono molto più semplici rispetto a quelle termiche. Sono però più pesanti perché la tecnologia attuale in fatto di batterie non consente di immagazzinare energia in accumulatori compatti e leggeri (almeno sino a questo momento). Così anche vetture tendenzialmente di taglia media o piccola, possono tranquillamente lambire le due tonnellate di peso.
Per capire come sono fatte le auto elettriche, è fondamentale comprendere che, in linea di massima, la principale fonte di ricarica è esterna (colonnine, prese di corrente, wallbox) perché gli effetti della frenata rigenerativa non sono sufficienti per una carica completa se il livello di partenza fosse molto basso. Da sottolineare come la frenata rigenerativa sia molto più incisiva rispetto ad ibride e plug-in hybrid, tanto da consentire all’auto di completare la maggior parte delle decelerazioni senza l’ausilio dell’impianto frenante tradizionale, relegato ad intervenire solo in caso di “vera” necessità. Questo significa che l’usura dell’impianto frenante è decisamente limitata nel corso del ciclo di vita dell’auto.
Le auto elettriche, al di là di qualche sperimentazione con pseudo cambi manuali mai entrata in produzione, si guidano come qualunque vettura automatica. Non hanno un vero e proprio cambio, fatto qualche eccezione nell’universo delle sportive dove esistono trasmissioni a più rapporti, ma un semplice riduttore.
Uno dei vantaggi tangibili è ovviamente l’efficienza dei motori, che generalmente è superiore all’80%. Per chi siede al volante significa che coppia e potenza sono pressoché istantanee. Per questo i veicoli elettrici sono caratterizzati da accelerazioni da vera auto sportiva, anche quelle più compatte destinate ad un uso prevalentemente cittadino.
Ciò detto il panorama automobilistico attuale offre due soluzioni principali: i motori sincroni a magneti permanenti oppure i motori asincroni (detti anche ad induzione). Ci sono due elementi che sono pressoché sempre gli stessi: il rotore e lo statore. Il primo, ruotando, trasferisce il moto alle ruote. Ovviamente hanno specifiche differenti e ci sono casi in cui – il riferimento è ad alcune vetture con doppia motorizzazione – siano presenti entrambi, uno per asse.
La domanda è ovviamente provocatoria, perché le auto elettriche si ricaricano (quasi) sempre da fonti esterne. Oggi esistono architetture di sistema tali che è possibile disporre di pacchi batteria capaci di assorbire potenze nell’ordine dei 350 kW, quando connessi ad una colonnina di ricarica veloce in corrente continua (CC). In alternata le potenze sono sempre molto più basse, al massimo nell’intorno dei 22 kW. Detto questo, ci sono auto elettriche che possono impiegare una fonte di ricarica alternativa alla colonnina o alla semplice presa di corrente.
Il primo caso di analisi riguarda i modelli provvisti di range extender. Sono pochissimi e vanno ricercati con il lanternino, ma mettono a disposizione un motore termico che funge esclusivamente da generatore. Non è connesso all’asse di trazione e l’energia che produce viene convogliata all’apparato elettrico. L’auto elettrica può sempre essere connessa ad una colonnina esterna, ma una volta terminata la carica più contare sull’energia generata dal propulsore termico.
Una soluzione alternativa al range extender, di cui si sente parlare sempre più spesso, sono le fuel cell o celle a combustibile. Nello specifico si tratta di quelle a idrogeno. Elemento che reagisce con l’ossigeno nelle celle a combustibile per produrre energia elettrica. Questa energia va ad alimentare il pacco batterie. E a differenza del range extender di cui sopra che, seppur limitatamente, emette sostanze nocive per via del motore a combustione, le fuel cell a idrogeno emettono semplicemente vapore acqueo. Questo genere di tecnologie ha il vantaggio di poter utilizzare batterie più compatte e leggere, perché la ricarica può avvenire anche senza colonnina.
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Testo di Cesare Cappa
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